L’arcivescovo Welby: Elisabetta II, «una leadership di servizio. Con amore»

Affidato al primate anglicano il sermone del funerale. «Sua Maestà ha promesso, a 21 anni, di dedicare la propria vita a servire la nazione e il Commonwealth. Raramente una promessa è stata mantenuta così bene». La sepoltura nella cappella di St. George, accanto al principe Filippo

I potenti della terra – tra cui il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella – si sono ritrovati ieri, 19 settembre, a Londra, nell’abbazia di Westminster, per rendere l’ultimo omaggio alla regina Elisabetta II, scomparsa l’8 settembre nella sua residenza scozzese di Balmoral. Un funerale di Stato, concluso poi con il trasferimento nel castello di Windsor – accompagnato da un ultimo bagno di folla – e la sepoltura nell’annessa cappella di famiglia intitolata a St. George, accanto all’amato consorte, il principe Filippo, al padre, alla madre e alla sorella Margaret.

«Mentre i potenti, di solito, vengono esaltati in vita e dimenticati una volta morti per chi serve Dio la morte è la porta verso la gloria. Sua Maestà ha promesso, a ventun’anni, di dedicare la propria vita a servire la nazione e il Commonwealth. Raramente una promessa è stata mantenuta così bene», ha affermato il primate anglicano Justin Welby, che ha tenuto il sermone nella celebrazione delle esequie, presieduta dal reverendo David Hoyle, decano dell’abbazia. Della sovrana, morta all’età di 96 anni di cui 70 passati sul trono, l’arcivescovo di Canterbury ha ricordato anzitutto la fede, motore e alimento di una vita vissuta all’insegna del servizio. Un raro esempio, il suo, di «leadership cristiana», all’insegna dell’amore per Dio e per i sudditi, condiviso, ha affermato Welby, anche da re Carlo.

Riferendosi alle letture della celebrazione, il primate ha ricordato le parole di Gesù che afferma di essere «la via, la verità e la vita. L’esempio che ci ha dato la Regina – ha commentato – non proveniva dalla sua posizione o dalla sua ambizione, ma da chi aveva deciso di seguire. So che sua maestà il re condivide la stessa fede e speranza in Gesù Cristo di sua mamma, lo stesso sentimento di servizio e dovere. Nel 1953 la Regina ha cominciato la sua incoronazione pregando in silenzio proprio lì sull’altare maggiore. Ha giurato fedeltà a Dio prima che chiunque altro giurasse fedeltà a lei – ha osservato ancora Welby -. Il suo servizio a così tante persone, in questa nazione e nei Paesi del Commonwealth, era radicato nel fatto che seguiva Cristo. Le persone che servono con amore sono molto rare, in qualunque parte della vita. Leader che servono con amore sono ancora più rari».

Nelle parole dell’arcivescovo, «chi serve sarà amato e ricordato mentre chi è attaccato al potere e ai privilegi sarà subito dimenticato. Il lutto di questi giorni, sentito non soltanto dalla famiglia della Regina ma dalle nazioni di tutto il Commonwealth e di tutto il mondo, proviene dalla vita abbondante di sua Maestà e dalla sua capacità di servire – ha rilevato -. La Regina era gioiosa. Ha toccato così tante vite. Oggi preghiamo per tutta la sua famiglia, addolorata come qualunque famiglia che abbia perso una persona casa e per tutte le famiglie che hanno avuto una perdita di questo tipo».

A conclusione del suo sermone, il primate angelicano ha ricordato quindi il messaggio diffuso dalla Regina Elisabetta durante la pandemia, con le parole «Ci incontreremo ancora», tratte dal titolo di una canzone di Vera Lynn, la cantante inglese che durante la seconda guerra mondiale incoraggiava le truppe al fronte con le sue liriche. «Si tratta di parole piene di speranza – ha detto -. La speranza cristiana vuol dire l’attesa di cose non ancora viste. Cristo è risorto dai morti e offre la sua vita a tutti, vita abbondante oggi e vita eterna con Dio. Possiamo tutti condividere la speranza della regina che, in vita e in morte, ha alimentato la sua leadership di servizio».

La benedizione dell’assemblea da parte del reverendo David Hoyle ha chiuso il solenne funerale di Stato. Quindi uno squillo di trombe e due minuti di silenzio in memoria della sovrana osservati nella chiesa, a Londra e in tutto il Regno e il canto dell’inno nazionale britannico, nella versione riveduta e corretta di “God Save the King”, in onore del nuovo re Carlo III. Il suono di una cornamusa, seguito dalle note dell’organo della storica abbazia, ha poi accompagnato l’uscita in corteo dei celebranti e dei concelebranti, fra i quali, appunto, l’arcivescovo di Canterbury, che prima della conclusione della liturgia aveva recitato una preghiera in suffragio dell’anima «della nostra sorella Elisabetta», evocando la sua «sicura speranza nella risurrezione», e l’arcivescovo cattolico di Westminster il cardinale Vincent Nichols, primate cattolico di Inghilterra e Galles. La bara è stata quindi ripresa a spalla da un picchetto d’onore della Royal Guard seguito lungo la navata a passo cadenzato e solenne da Carlo II e dagli altri reali, disposti secondo l’ordine cerimoniale.

20 settembre 2022