L’arcivescovo Palmieri nominato titolare di Ascoli Piceno

Lo ha annunciato De Donatis, contestualmente alla nota della Santa Sede. Dal settembre 2020 era vicegerente di Roma, oltre che ausiliare per il settore Est, dal 2018. «Devo alla mia famiglia e a questa Chiesa di cui sono figlio il dono più importante: quello della fede. Perciò ho tanta fiducia»

«Ci sono delle situazioni in cui Dio ci veste e altre in cui ci spoglia. Ora mi sta spogliando della Chiesa di Roma». L’arcivescovo Gianpiero Palmieri ha accompagnato con queste parole la notizia della sua nomina come titolare della diocesi di Ascoli Piceno, finora retta come amministratore dal vescovo Domenico Pompili. L’annuncio è stato dato, nell’Aula della Conciliazione del Palazzo lateranense, dal cardinale vicario Angelo de Donatis, contestualmente alla diffusione della notizia da parte della Santa Sede. Il Papa ha voluto Palmieri alla guida della diocesi marchigiana, «attribuendogli “ad personam” la dignità arcivescovile», ha detto il porporato leggendo la lettera indirizzatagli dal nunzio apostolico, rivolgendo quindi il suo grazie all’arcivescovo, per aver servito la Chiesa di Roma «con passione e amore. Il tuo specchiarti nelle Beatitudini – ha aggiunto – ci rassicura».

Pastore «buono»: così lo ha definito più volte De Donatis nel suo breve discorso, riconoscendone come tratto distintivo «la gioia nel cuore e nel volto». E ripercorrendone il cammino, dalla parrocchia d’origine al servizio in Azione cattolica, al seminario, fino all’ordinazione sacerdotale e poi agli anni prima da parroco e poi da vescovo, infine da vicegerente. «Faccio fatica a congedarmi», le parole di Palmieri, che ha ricordato anzitutto l’inizio del suo ministero episcopale, con la nomina ricevuta il 18 maggio 2018. «Sono stato, sono e sarò fino all’ultimo dei miei giorni un peccatore perdonato. Questa è la mia fondamentale “definizione”», ha detto, evidenziando che «questa percezione interiore (la propria miseria è avvolta dalla misericordia) dà una grande libertà interiore!».

Congedandosi dalla “sua” Chiesa di Roma, Palmieri ha evidenziato che «la grazia, come un fiume sotterraneo, è la vera realtà invisibile di questa città. Vi invito a crederlo con tutto voi stessi e a scoprirlo intorno a voi: la presenza di Dio in questa città non va inventata, va scoperta – ha continuato -. È ottimismo conciliare? No. È sguardo credente, è ascolto contemplativo. Cioè, quanto di più reale ci sia, perché coglie la realtà per quello che essa è agli occhi di Dio». Proprio per questo, «congedarsi da tutto questo è difficile. Solo quando lasci qualcosa, ti rendi conto che “sei legato”, che l’hai amata e che sei stato molto amato. Me ne vado da questa Chiesa, nella quale sono cresciuto e che mi ha donato tanto, con la consapevolezza che senza di essa sono piccolissimo e poverissimo. Il mio vestito: la fiducia in Dio». Dall’altra parte «so di essere ricchissimo, perché in fondo quando si parte non si lascia niente e io porto tutti con me, nel “segno indelebile” che avete lasciato dentro di me. Devo tanto a tanti, anzi in fondo devo tutto a tutti voi, che siete la Chiesa di Roma. Devo alla mia famiglia e a questa Chiesa di cui sono figlio il dono più importante di tutti, quello della fede. Perciò ho tanta fiducia. So che in ogni luogo del mondo Dio è presente ed agisce per mezzo della Parola e dello Spirito, creando il suo regno».

Nelle parole dell’arcivescovo, la certezza che sarà così anche «nella Chiesa che ora servirò, e che conosco appena. Mi sto preparando a rivivere quello che ho sperimentato qualche anno fa arrivando a san Gregorio Magno – era il 2016 -: provavo un grande dolore nel cuore – ha ricordato – per aver lasciato la comunità di san Frumenzio, eppure mentre giravo per le strade di Magliana, parlavo con le persone e ascoltavo i loro racconti, rimanevo colpito dal miracolo della fede, testimoniato in mille modi, la fede del Popolo Santo di Dio. Ecco, so che ad Ascoli mi succederà la stessa cosa».

Da ultimo, alla diocesi che lascia Palmieri ha consegnato tre «punti»: cose «che ho osservato e che vorrei dirvi adesso». Anzitutto, ha detto, «sono convinto che, come Chiesa di Roma, stiamo camminando sempre meglio». Nell’analisi dell’arcivescovo, «il cammino dei sette anni sta portando i suoi frutti, in particolare grazie a quest’ultimo sviluppo che è il cammino sinodale indicato dal Papa, in maniera davvero provvidenziale. Evangelii Gaudium “funziona”, fa partire processi ecclesiali, non è un libro che rimane negli scaffali ma mette in movimento, perché come il Vangelo il magistero di Francesco fa respirare. Fa respirare perché è evangelico. Fa entrare lo Spirito nei polmoni un po’ asfittici e necrotizzati nei nostri circuiti ecclesiali. Roma – ha rilevato – meritava questa ripartenza». Quindi, un appunto dal carattere quasi intimo, personale: «Don Angelo è un padre, gli ausiliari sono fratelli. Approfittatene – l’esortazione ai laici, ai sacerdoti e ai religiosi della Chiesa di Roma -! Si cammina bene insieme con loro: con Papa Francesco, con don Angelo, con i vescovi ausiliari. Ormai li avete conosciuti. Nessuna situazione, nessuna persona, è trattata in maniera sbrigativa o superficiale, senza essere ascoltata in profondità». Poi, rivolto al cardinale: «Da te ci si sente voluti bene, valorizzati, e quando serve corretti con amore. Impariamo che si cammina davvero bene solo se si rinuncia a sentirsi il centro del mondo e si accetta di camminare insieme agli altri, senza rancori e senza invidie».

Terzo punto: «La Chiesa di Roma è viva, le sue parrocchie sono invecchiate ma ancora piene di entusiasmo, i suoi presbiteri e i suoi diaconi hanno una dedizione per la comunità cristiana e una passione per l’annuncio della Parola che commuove.  Il cammino ecclesiale dei prossimi anni purificherà dalla tendenza all’autoreferenzialità e vi aprirà nuovamente agli altri e alla loro storia, spingendovi a superare steccati e chiusure autodifensive, tutte resistenze all’azione dello Spirito che hanno le ore contate – l’augurio che ha il sapore della certezza -. Ovviamente mi dispiace (“rosico”, si dice a Roma) non partecipare direttamente a tutto questo. Ma tant’è, così vuole il Signore. Dio vi benedica. Grazie ancora di tutto!».

L’ingresso nella diocesi di Ascoli Piceno è in programma per il 28 novembre. Anche ai fedeli che lo stanno per accogliere intanto il nuovo vescovo ha indirizzato il suo saluto, ricordando le sue origini marchigiane, nella città di Camerino. «Come vostro fratello e padre, con voi discepolo e per voi sposo e maestro, vi chiedo con forza di camminare tutti insieme, in maniera sinodale sotto il primato della Parola di Dio, accogliendoci reciprocamente pur con tutti i nostri limiti e imparando a volerci bene – ha affermato -. Lo Spirito Santo ci illuminerà sui cammini da intraprendere, la misericordia del Padre ci custodirà e sarà la nostra “casa”».

Nato a Taranto il 22 marzo 1966, Palmieri si è formato prima al Pontificio Seminario Romano Minore e poi all’Almo Collegio Capranica, conseguendo poi la licenza in Teologia Dogmatica alla Pontificia Università Gregoriana. Subito dopo l’ordinazione ha ricoperto gli incarichi di vicerettore del Pontificio Seminario Romano Minore (fino al 1997) e assistente diocesano dell’Azione cattolica ragazzi (fino al 1999). Nel 1996-97 ha lavorato in Vicariato al Centro pastorale per l’evangelizzazione e la catechesi. È stato vicario parrocchiale prima ai Santi Simone e Giuda Taddeo a Torre Angela dal 1997 al 1999 e poi a San Frumenzio ai Prati Fiscali fino al 2004, anno in cui è stato nominato parroco. Prefetto della IX prefettura dal 2007 al 2011, nel 2016 è stato nominato parroco di San Gregorio Magno alla Magliana. Dal 1° settembre 2017 ha guidato per un anno il Servizio diocesano per la formazione permanente del clero. Nel maggio 2019 infine la nomina ad incaricato del Centro per la cooperazione missionaria tra le Chiese e la delega per il diaconato permanente, per la carità, la pastorale dei migranti e dei rom. Era vicegerente dal settembre 2020.

29 ottobre 2021