L’arcivescovo di Erbil: «L’Isis, un cancro che va fermato»

Monsignor Warda racconta l’emorragia di cristiani iracheni e il sostegno ai profughi. «Necessaria azione militare», insieme a riconciliazione politica

Monsignor Bashar Warda racconta l’emorragia di cristiani iracheni e il sostegno ai profughi. «È necessaria un’azione militare», insieme a riconciliazione politica e aiuti

«Lo Stato islamico è un cancro e dobbiamo impedire che si propaghi». Così, senza mezzi termini, monsignor Bashar Warda, arcivescovo caldeo di Erbil, nel cuore del Kurdistan iracheno, ha testimoniato cosa significhi essere cristiani in una delle terre più colpite dalla violenza cieca dei miliziani dell’Isis, a quasi un anno dalla presa di Mosul e della Piana di Ninive. Lo ha fatto ieri, giovedì 4 giugno, a Roma, in una conferenza stampa organizzata nella sede dell’Associazione stampa estera dalla fondazione pontificia Aiuto alla chiesa che soffre, che sin dall’inizio della crisi irachena ha sostenuto concretamente la comunità donando oltre 7 milioni di euro.

Dopo aver ringraziato i media per l’interesse dimostrato nei confronti della situazione irachena, il presule ha descritto la risposta della sua diocesi all’arrivo di oltre 120mila cristiani tra il giugno e l’agosto del 2014. «All’inizio della crisi – ha raccontato – abbiamo allestito 26 punti di accoglienza in tutto il territorio diocesano. La gente dormiva nelle tende e nei palazzi abbandonati. Oggi fortunatamente hanno tutti un alloggio dignitoso». Tuttavia, c’è una emorragia di cristiani iracheni che il mondo non può ignorare: nel 2013 erano un miliardo e trecentomila, ora sono 400mila. Almeno 8mila hanno scelto di emigrare in Libano, Giordania e Turchia oppure in Europa e in America. Tra loro anche 500 tra le 6mila famiglie cristiane che si erano rifugiate a Erbil tra il 2003 e il 2014, «per sfuggire alle persecuzioni in atto in città come Mosul, Bagdad e Kirkuk».

In questa vera e propria emergenza umanitaria, «la Chiesa – ha ricordato monsignor Warda – ha cercato di restituire la fiducia alla popolazione e di tenere unita la nostra comunità». Dalla prima ondata di crisi, l’arcivescovo ha potuto contare sul sostegno della Caritas, di Chiese come quella italiana e di soggetti quali Aiuto alla chiesa che soffre. Quest’ultima ha finanziato un piano di aiuti di 4 milioni di euro e, tra gli interventi più significativi, ha donato otto scuole prefabbricate e 150 strutture prefabbricate per permettere un alloggio dignitoso a oltre 200 famiglie.

Sulla risoluzione della crisi, monsignor Warda non ha dubbi: «È necessaria un’azione militare per fermare l’Isis. È un cancro, va fermato come questa malattia». Ma da sole, le armi non bastano. L’opzione militare deve necessariamente essere accompagnata da altri due elementi: «La riconciliazione politica, per fermare le dispute e ricostruire la fiducia tra gli iracheni», e gli aiuti umanitari, «per continuare ad affrontare il numero crescente di iracheni che arrivano in Kurdistan». Anche la persecuzione anticristiana è da scongiurare. «Ai cristiani è stato chiesto di scegliere tra convertirsi, pagare la jizya o morire. È chiaro che siamo di fronte a una persecuzione, sebbene a volte noi cristiani siamo considerati dei danni collaterali». In questa situazione di forte difficoltà, il popolo iracheno aspetta con ansia la visita di Papa Francesco a Erbil. «Lui stesso mi ha confidato questo suo desiderio – racconta monsignor Warda – anche se ci sono vari aspetti pratici che ritardano la visita. Sarebbe un grande sostegno e darebbe alla nostra comunità la forza e la dignità per andare avanti con fede. Le sue parole ci consolano soprattutto adesso, nel momento della persecuzione».

5 giugno 2015