L’arcivescovo Damiano (Agrigento): «Aiutare Lampedusa nella gestione di flussi massicci»
La morte del neonato di 5 mesi in prossimità del molo, «ulteriore dramma che sconvolge e tocca le nostre corde emotive». Nell’hotspot al momento oltre 6mila persone. Ma «l’Europa ha le porte chiuse. È grave»
Un’altra tragedia dell’immigrazione tra il 12 e il 13 settembre, stavolta in prossimità del molo di Lampedusa, poco prima dell’arrivo dei soccorsi da parte della motovedetta Cp290 della Guardia costiera, fuori dal porto. Un barchino con a bordo decine di migranti si è capovolto e diverse persone sono finite in acqua, tra cui un neonato di pochi mesi, morto annegato. La salma è stata portata alla camera mortuaria del cimitero, a Cala Pisana. «Un ulteriore dramma che sconvolge e tocca le nostre corde emotive», commenta Alessandro Damiano, arcivescovo di Agrigento, che ha lanciato un appello alle istituzioni per chiedere di aiutare Lampedusa, un’isola allo stremo per il sovraffollamento dovuto agli sbarchi degli ultimi giorni. Nella giornata di ieri, 13 settembre, ci sono stati altri 7 sbarchi con 337 migranti. Dalla mezzanotte, 37 sbarchi, con un totale di 1.627 persone arrivate. 700 migranti sono stati nel frattempo imbarcati sul traghetto di linea verso Porto Empedocle. All’hot spot di Contrada Imbriacola ci sono ancora oltre 6mila migranti. Prefettura e polizia sono al lavoro per cercare di gestire accoglienza e trasferimenti ma la situazione non è facile: al molo Favarolo e in altri punti dell’isola ci sono gruppi di persone sotto il sole, in condizioni non dignitose, in attesa di una sistemazione. Ci sono stati anche alcuni momenti di tensione, poi rientrati. «Il mio appello – afferma l’arcivescovo – vuole unirsi al coro di chi si rivolge alle autorità regionali e nazionali perché si impegnino a garantire una gestione e un accompagnamento di questi flussi di migranti in transito che siano rispettosi della dignità della persona, di chi per disperazione e bisogno cerca rifugio sulle nostre coste. Così non va».
Un neonato di soli 5 mesi ha perso la vita poco prima dell’approdo a Lampedusa. L’ennesima tragedia dell’immigrazione.
Ho saputo la notizia dal parroco di Lampedusa, che mi aggiorna sulla situazione. Pare che fossero già in prossimità del molo, nella fase di trasferimento dalla barca al molo. È un ulteriore dramma che sconvolge e tocca le nostre corde emotive perché è un bimbo di soli 5 mesi. Al contempo dobbiamo pensare anche ai tanti che muoiono e non lo sappiamo. Perché poi quando si vede e si tocca l’impatto è diverso.
Martedì 12 settembre lei ha lanciato un appello per chiedere aiuto per Lampedusa. Lo rinnova?
Si, il parroco mi ha raccontato della situazione di confusione dovuta a questo afflusso così massiccio, senza pause. Diventa difficile per gli operatori, anche se si impegnano. Le autorità locali assicurano un trasferimento veloce in Sicilia ma è tutto complicato, sia per i numeri sia per la posizione geografica di Lampedusa, che è più vicina a Tunisi che a noi. Il mio appello vuole unirsi al coro di chi si rivolge alle autorità regionali e nazionali perché si impegnino a garantire una gestione e un accompagnamento di questi flussi di migranti in transito che siano rispettosi della dignità della persona, di chi per disperazione e bisogno cerca rifugio sulle nostre coste. Così non va.
In più oggi è arrivata la notizia che Germania e Francia intendono chiudere le frontiere.
Lampedusa è considerata la porta d’Europa ma l’Europa ha le porte chiuse. Ma stiamo scherzando? La porta d’Europa chiusa? È grave. Non lasciare sola Lampedusa significa non lasciare sola l’Italia. La comunità ecclesiale e civile di Lampedusa si vede rappresentata sui canali televisivi o su internet come se fosse una sorta di campo di concentramento. Lampedusa è una cittadina con un flusso turistico importante e una comunità che da più di vent’anni ha dimostrato di essere accogliente e premurosa nell’ospitalità, vocazione dell’isola ancora prima dei flussi migratori. Poi via via le cose sono cambiate, questa ospitalità è stata più difficile, lo Stato è intervenuto nel controllo dell’accoglienza. I lampedusani si sono esercitati nell’ospitalità. La figura mariana della Madonna di Porto Salvo era già un porto di salvezza per i naviganti, che poi è diventato un punto di speranza per una vita più dignitosa, che a volte si infrange sugli scogli della coscienza europea. E ieri mattina ne abbiamo avuto, ahimè, la conferma.
Si diceva che le ong fossero un fattore di attrazione, invece nonostante in mare ci siano poche navi umanitarie i numeri quest’anno sono altissimi.
Certo che le ong non sono fattore di attrazione, semmai sono una ulteriore scialuppa di salvataggio che va a integrare il sistema nazionale. Ci sono dati che dimostrano che le persone salvate dalle ong rappresentano una percentuale molto bassa. Sono molti di più quelli salvati dalla Guardia costiera.
Da un punto di vista pratico quali soluzioni potrebbero sgravare Lampedusa da flussi così consistenti? Con la Croce Rossa la situazione nell’hotspot era un po’ migliorata e i trasferimenti erano stati velocizzati.
La Croce Rossa ha gestito meglio la situazione nell’hotspot perché ha risorse umane e strumenti che altri enti privati non hanno, quindi non va colpevolizzato nessuno. La Croce Rossa è un fiore all’occhiello e lì sta dando il meglio di sé. Ma i trasferimenti dipendono dalla disponibilità di navi, aerei e pullman e questo penso dipenda dalla prefettura. Bisogna anche fare i conti con le condizioni meteo che non sempre permettono di attraccare, e con il mare non si discute. C’è stato sicuramente un incremento di trasferimenti ma ci sono mille difficoltà pratiche che dipendono dalla collocazione di Lampedusa. Muoversi da lì è difficile.
Qualche cittadino delle isole Pelagie sostiene che una soluzione potrebbe essere di nuovo una grande nave al largo di Lampedusa, come nel periodo del Covid. Lei che ne pensa?
Queste situazioni galleggianti sono terminate con la fine della pandemia ma non sono una soluzione perché anche quelle si riempiranno. Li metti lì e poi? È sempre mettere una pezza. Queste persone hanno già attraversato il deserto di sabbia, il deserto di sale, magari hanno già soggiornato nell’inferno della Libia, e li piazziamo in una nave in mezzo al mare? Sono sempre soluzioni molto parziali e quindi illusorie.
Servirebbe una maggiore presa in carico a livello europeo?
Certo. Anche perché la maggior parte di queste persone non vogliono stare in Sicilia ma cercano di andare nel Nord Europa. Abbiamo già una emigrazione giovanile che spopola la Sicilia. Che opportunità avrebbero qui? Magari qualcuno potrà trovare l’America in Sicilia o in Calabria ma la maggioranza cerca di raggiungere i familiari. Sono scontenti di stare qui da noi dopo aver superato tante prove. (Patrizia Caiffa)
14 settembre 2023