«Continuiamo a invocare lo Spirito Santo perché susciti volontà e gesti di dialogo e di riconciliazione in Terra Santa e in tutto il Medio Oriente». Al termine del Regina Coeli di domenica 20 maggio Papa Francesco si è rivolto alle 30mila persone che affollavano piazza San Pietro, invitandole alla preghiera per i territori dove non si placano tensioni e violenze. Ancora, «desidero dedicare un particolare ricordo all’amato Venezuela – ha proseguito -. Chiedo che lo Spirito Santo dia a tutto il popolo venezuelano – tutto, governanti, popolo – la saggezza per incontrare la strada della pace e dell’unità. Anche prego per i detenuti che sono morti ieri».

Il giorno prima, sabato 19 maggio, l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa ha presieduto a Gerusalemme la veglia di preghiera per la pace a Gaza e in Medio Oriente. «Lo abbiamo già detto altre volte e rilevato troppo spesso: nella nostra Terra la vita umana ha poco valore – le parole del presule, amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme -. Davanti all’uccisione di persone inermi, al rifiuto ostinato a trovare soluzioni alternative alla violenza, ci sentiamo impotenti. Molto è già stato detto, e di fronte a queste tragedie pensiamo sia meglio non parlare troppo ma stare in silenzio di fronte al Signore per intercedere, pregare e chiedere il dono della fiducia e della pace». L’invito dell’arcivescovo allora è stato ad «attingere dalla preghiera la forza di credere ancora e avere fiducia che possiamo cambiare e che la nostra Terra possa un giorno conoscere la giustizia e la pace, per la quale vale ancora la pena di operare».

La pace invocata per la Terra Santa e per tutto il Medio Oriente è «una pace che sia accoglienza cordiale e sincera dell’altro, volontà tenace di ascolto e di dialogo», nella quale «la paura e il sospetto cedano il passo alla conoscenza, all’incontro e alla fiducia, dove le differenze siano opportunità di compagnia e non pretesto per il rifiuto reciproco». Alla vigilia della Pentecoste dunque «chiediamo il dono dello Spirito, che ci faccia comprendere e illumini la nostra vocazione personale ed ecclesiale, in questo nostro conteso sociale così ferito e stanco – le parole di Pizzaballa -; ci renda capaci innanzitutto di accogliere la nostra realtà senza menzogne e senza illusioni, metta sulle nostre labbra parole di consolazione, ci dia il coraggio della difesa della giustizia senza compromessi con la verità e nel rispetto della carità. Ci renda capaci di perdono».

Il modello che l’arcivescovo indica è quello di duemila anni fa, quando «un piccolo gruppo di discepoli, illetterati e impreparati a tutto, ha ricevuto in eredità il mandato di cambiare il mondo. Ci sono riusciti e lo hanno cambiato. Possiamo farlo dunque anche noi, piccolo gregge della Chiesa di Gerusalemme. Non guardiamo ai nostri numeri e non confidiamo troppo nelle nostre forze e non presumiamo che le nostre strategie siano la risposta – l’esortazione di Pizzaballa -. Guardiamo a quei 12 illetterati. Lo hanno fatto semplicemente testimoniando Cristo risorto».

21 maggio 2018