L’appello di Di Liegro: Roma aperta agli “ultimi”

L’articolo che nel 1983 l’allora direttore della Caritas scrisse all’apertura del Giubileo della Redenzione

È iniziato il Giubileo della Redenzione con l’apertura della Porta Santa. I pellegrini israeliti quando entravano nel Tempio di Gerusalemme cantavano: «Apritemi le porte della giustizia entrerò a rendere grazie al Signore. è questa la porta del Signore, per essa entrano i giusti» (Salmo 117, 19-20). All’inizio dello stesso Salmo si legge: «Celebrare il Signore, perché è buono, perché eterna è la sua misericordia».

«Giustizia e misericordia sono la sintesi inscindibile del misterioso rapporto di Dio con l’uomo, il quale è inviato a confidare nella bontà infinita di Colui… che ci fa sentire in questi giorni il suo appello alla conversione, simboleggiata dall’ingresso attraverso la Porta Santa» (Giovanni Paolo II – Udienza generale martedì 1° marzo 1983). Due anni prima dell’annuncio di questo Giubileo, il Papa nella Sua Enciclica sulla «misericordia» aveva affermato che questa «è la fonte più profonda della giustizia». Queste sottolineature del Papa ci consentono di ritrovare le grandi linee conduttrici degli «anni giubilari» di cui parla il Levitico al cap. 25: Ogni cinquant’anni bisogna ripartire da zero.

L’Anno Santo è un momento favorevole per ricominciare da capo: un anno di riconciliazione e di misericordia. Chi non vede in tutto questo le premesse di un grande risveglio spirituale e sociale? A condizione, però, che tutto questo resti una formula o una dichiarazione di intenzioni. Affinché l’Anno Santo non venga «neutralizzato» bisognerà che su alcuni punti critici della vita sociale ed ecclesiale si crei una vasta consapevolezza per fare passi decisivi verso la riconciliazione. Nella Chiesa troppe porte rimangono chiuse alla comunione e alla comunicazione tra fratelli. Penso, per esempio, a quei gruppi cristiani che vogliono celebrare l’Eucarestia «tra loro», assolutizzano talmente la propria esperienza da crederla l’unica solida, non avvertono l’esigenza di stabilire un rapporto di comunione con altre esperienze ecclesiali, specialmente con le parrocchie.

Non mancano tensioni a livello di comportamenti che turbano la vita della comunità ecclesiale come preoccupano la società. La forza dello Spirito può riavvicinare le posizioni contrastanti e rende gli stessi avversari capaci di incontrarsi ed amarsi. «Rimanete uniti, riflettete sul fatto che nell’unità è la forza della Chiesa. Mantenete sempre la comunione con i vostri pastori». Richiami, come questo, fatti dal Papa nel Suo ultimo viaggio nell’America Centrale, sono stati pressanti e continui. «Non si tratta – ha detto il Papa a S. Josè di Costa Rica – di un’unità frutto di artifici, di calcoli, di compromessi, dell’insieme di indebite transazioni. Non è nemmeno la semplice unione esterna di una mera convivenza. è l’unità nella sua forma più piena e perfetta».

Nell’Antico Testamento il Giubileo ha uno spiccato carattere sociale. Quando un israelita ha dovuto alienare in tutto o in parte il suo patrimonio e non ha potuto riscattarlo, nell’anno cinquanta Dio promulga un Giubileo, un condono dei debiti, che favorisce i poveri e gli invalidi, privilegia i più deboli e gli emarginati, livella le differenze e ristabilisce una situazione sociale in equa; Dio stesso è l’autore e il garante di questo condono: «Questo Giubileo lo riterrai sacro». La volontà di Dio è chiara: Egli impegna la sua sovrana autorità per creare o ristabilire fra gli Israeliti relazioni di mutuo rispetto e di giustizia sociale: «Nessuno danneggerà alcuno del suo popolo. Io sono il Signore vostro Dio» (Lv. 25,17).

Nel Nuovo Testamento la riconciliazione, che è il perno del Giubileo indetto dalla Chiesa, ha due dimensioni che si condizionano e si integrano: riconciliazione dell’uomo con Dio e degli uomini fra loro. Non basta al cristiano la riconciliazione dell’uomo con Dio e degli uomini fra loro. Non basta al cristiano la riconciliazione verticale con il Padre. Vivere da Cristiani è vivere nella carità e l’amore permanente fra gli uomini non è possibile senza una capacità grande e una pratica ripetuta di riconciliazione. Il testo di Mt. 5,24 stabilisce la necessità della riconciliazione come condizione per il culto: «Ti ricordi che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te». La riconciliazione è un progetto religioso e «politico» insieme; politico nel senso che implica degli interlocutori sociali reali, le cui contraddizioni vengono risolte ricostruendo una comunicazione e una migliore distribuzione dei beni.

Detto questo, non ha senso continuare a porre affermazioni generali senza indurre la stessa organizzazione della comunità civile a porsi un impegno di cambiamento in ordine alla soluzione di alcuni problemi che fanno emergere conflitti ed emarginazioni. Non è sufficiente abbellire la città perché esternamente si manifesti «più pulita» e presentabile. Una città accoglie rispettosamente l’evento dell’Anno Santo soprattutto se saprà coglierne il significato sociale oltre che spirituale. La riconciliazione inizia, avviene, se cresce un processo di trasformazione sociale per il quale gruppi ed individui mettono in questione i privilegi che li separano da chi ha meno o non ha niente: gli sfrattati, i disoccupati, gli handicappati, i giovani drogati, le famiglie con basso reddito, gli anziani, quanti cioè siamo abituati a respingere e ad escludere, lasciandoli ai margini della comunità. C’è da sperare che l’Anno Santo riesca almeno a contenere la frenesia dell’effimero che è esploso in questi ultimi anni creando la falsa persuasione che nella nostra città non ci siano problemi drammatici che ancora attendono di essere affrontati. (mons. Luigi Di Liegro)

27 marzo 1983