L’Antonianum e l’innovazione

Il rettore padre Hernandez: la pandemia «non ha intaccato la relazione. Investiamo nell’integrazione tra spazi, tecnologie e metodi, per classi più interattive»

Guarda all’emergenza sanitaria per il Covid–19 da due diverse angolature padre Agustin Hernandez, rettore della Pontificia Università Antonianum, l’istituzione didattica promossa dall’ordine dei Frati Minori e attiva a Roma dal 1887. Il religioso, che guida l’ateneo di via Merulana dallo scorso maggio, parla di «retrospettiva e prospettiva della missione universitaria». Se volgendo lo sguardo indietro, alle prime settimane di marzo, quando la pandemia ha interrotto la didattica in presenza, Hernandez rileva «le difficoltà iniziali connesse a un servizio digitalizzato per il quale non eravamo del tutto preparati», pensando alla ripresa dei corsi in sede e all’avvio del nuovo anno accademico riscontra quanto «le nuove tecnologie hanno arricchito la modalità presenziale dell’insegnamento» e che «la pandemia non ha intaccato la relazione e la crescita, anzi, ne ha reso ancora più acuto il bisogno».

In particolare, il rettore osserva che l’emergenza sanitaria «ci ha confermato, come comunità accademica, il bisogno e la ricchezza della relazione con gli altri e con l’Altro, con Dio. Questo ci apre ora la strada per una nuova tappa che noi vogliamo vivere ispirandoci al carisma francescano». Per Hernandez la pandemia «ha drasticamente ridotto uno degli aspetti più belli e arricchenti per chi studia o insegna a Roma: l’incontro quotidiano con persone di altre nazionalità e di altre culture». Per questo «stiamo investendo nel settore dell’innovazione didattica al fine di realizzare l’integrazione sicura tra spazi, arredi e tecnologie, ma anche metodi che ci aiutino a rendere le classi più interattive ed efficaci nell’apprendimento – ancora le parole del rettore -, garantendo la possibilità di interagire sincronicamente in telepresenza agli iscritti impossibilitati ad esserci fisicamente, impediti dal controllo delle frontiere e condizionati dall’evolvere dell’emergenza nei Paesi d’origine. Si tratta di una sfida importante da vincere con creatività e fantasia».

Esempio anticipatore «di questa nuova fase propulsiva» è stata l’iniziativa “Humanitarian Care: Covid–19”, una due giorni di lezioni e incontri online organizzata ad aprile e dedicata «ai temi del self-help e dello spiritual first aid – spiega Hernandez -, che ha dato vita, insieme alla condivisione delle storie e delle emozioni dei singoli, a un vero e proprio laboratorio di senso». I partecipanti sono stati 122, appartenenti a 18 congregazioni religiose e provenienti da 23 Paesi; tra loro, medici e infermieri coinvolti attivamente nelle corsie dei reparti Covid, nonché responsabili del governo delle congregazioni a livello locale, provinciale e internazionale.

Quello che ha reso nell’insieme proficua tutta la fase emergenziale «è stato il generoso servizio dei docenti e del personale amministrativo – conclude il rettore -. La loro serena e competente dedizione ha permesso di pensare, analizzare e immaginare in una logica “costituente”, che include ed unisce, pur nel rispetto della dignità e delle differenze di ciascuno».

16 giugno 2020