Al Gemelli il ricordo di san Giuseppe Moscati

Il santo campano sempre vicino nella sua missione soprattutto ai più bisognosi e ai più fragili: «modello di umanità e carità»

Il santo campano sempre vicino nella sua missione soprattutto ai più bisognosi e ai più fragili: «modello di umanità e carità»

«Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo». Sono le parole di un uomo che ha dedicato tutto se stesso alla ricerca scientifica e all’insegnamento universitario, impegnandosi contemporaneamente, con generosità e assistenza gratuita ai malati più bisognosi. È Giuseppe Moscati, definito da chi lo ha conosciuto, il “medico santo”, e ricordato ieri, lunedì 16 novembre, in occasione della memoria liturgica, durante un incontro al Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, promosso insieme al Centro per la pastorale sanitaria del Vicariato e all’Associazione Medici cattolici italiani – Amci.

Canonizzato da san Giovanni Paolo II nel 1987, Moscati associava alla “sublima missione”, come lui stesso definiva l’arte medica, l’attività di docente universitario, di scienziato e ricercatore. Ma in realtà, sono molti di più gli ambiti in cui ha lasciato un’eredità culturale, civile e spirituale. «Servire la sofferenza e capire che quello è un momento sacro dell’esistenza umana è un qualcosa di cui il mondo medico ha bisogno e un professionista cattolico ha ancor più il dovere di comprenderlo».

Secondo monsignor Andrea Manto, direttore del Centro diocesano per la pastorale sanitaria, tutto questo, Moscati è riuscito a realizzarlo pienamente. «L’idea di commemorare la figura di Moscati è proprio quella di mandare un segnale ai medici su due grandi questioni: la prima è quella della testimonianza personale di vita cristiana nell’ambito della professione, dove c’è una grande possibilità di fare apostolato promuovendo i valori cristiani uniti, appunto, alla competenza professionale.

L’altro contenuto importante – ha aggiunto – sta nel fatto che «in questo Policlinico si formano giovani generazioni di professionisti sanitari. Dunque ricordare Moscati, significa invitare i medici del domani a portare un messaggio di speranza, umanizzazione e forte radicamento nei valori umani e cristiani». Ed è proprio questa la missione di una realtà, come quella dell’Università Cattolica, come ha ricordato l’ingegner Enrico Zampedri, Direttore Generale del Policlinico Gemelli, ovvero, «associare ad una solida formazione scientifica anche una formazione umana come quella di san Giuseppe Moscati, un uomo molto vicino alla gente».

«Un modello – ha aggiunto il presidente Amci Pietro Scanzano -, di umanità, carità e vicinanza a quelli che sono i bisogni dell’uomo intesi nella sua globalità. Ed è proprio questa la forza oggi del ricordo dirompente di Moscati». L’incontro è stata l’occasione per ricordare anche degli episodi poco noti della vita di Moscati che rendono l’idea della personalità del medico santo, morto a soli 46 anni. Il professor Rocco Bellantone, preside della facoltà di Medicina e chirurgia della Cattolica ha raccontato di quando Moscati «fece apporre, insieme al crocifisso, all’interno della camera mortuaria dell’ospedale degli Incurabili di Napoli, dove iniziò la sua carriera, una scritta tratta dalla Bibbia “Sarò la tua morte, o morte”».

A ricordare la figura di Giuseppe Moscati c’era anche un ospite d’eccezione, l’attore Beppe Fiorello, interprete proprio del medico santo nel film Rai per la tv “L’amore che guarisce”: «Consiglio a chi non lo conosce di scoprirlo, si tratta di un uomo immenso, per certi versi moderno, proiettato verso il futuro che ha fatto del rapporto medico paziente una missione».

 

17 novembre 2015