L’addio a Venier, fondatore di Roma Sette
L’ultimo omaggio, nel giugno 2011, al sacerdote che diresse l’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali per oltre trent’anni. Aveva quasi 95 anni
Abbracciato dallo sguardo di Maria Salus Populi Romani, è tornato alla Casa del Padre monsignor Elio Venier, organizzatore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali della diocesi di Roma all’indomani del Concilio Vaticano II, del quale è stato direttore per oltre 30 anni. E fondatore del settimanale diocesano Roma Sette, nel 1974. Deceduto domenica 19 giugno al Policlinico Gemelli, il prossimo 3 agosto avrebbe compiuto 95 anni. Una vita ricca di incontri, la sua, di volti e cuori con i quali ha condiviso un ministero sacerdotale lungo 70 anni, convinto che «il sacerdote è una mano legata a un’Altra mano, che non può benedire se un Altro non benedice, non può concludere se un Altro non ha finito di parlare».
Lo ha ricordato, nella Messa di esequie presieduta mercoledì scorso dal cardinale Bernard Francis Law, arciprete della basilica di Santa Maria Maggiore, monsignor Michal Jagosz, prefetto dell’Archivio, della Biblioteca e del museo liberiano. Ad accompagnare il feretro di monsignor Venier nella Cappella Paolina della basilica di Santa Maria Maggiore, di cui era divenuto canonico onorario a 70 anni, insieme al fratello Luigi c’erano anche i membri della sua «famiglia d’adozione»: l’arciconfraternita di Sant’Eligio de’ Ferrari, di cui è stato primicerio per oltre 50 anni (e nella cui cappella al Verano è stata deposta la salma). Ancora, il vescovo Armando Brambilla, delegato diocesano per le confraternite e i pii sodalizi, monsignor Paolo Mancini, segretario generale del Vicariato, l’attuale incaricato dell’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali don Walter Insero, intervenuti a concelebrare insieme all’intero capitolo dei canonici e a monsignor Giordano Cracina, prevosto di Zuglio Carnico, paese natale di monsignor Venier, in rappresentanza della diocesi di Udine.
Arrivato a Roma a 19 anni, studente del Pontificio Seminario Romano Maggiore, aveva ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 3 febbraio 1940. Quindi, dopo la prima esperienza come vice parroco a Santa Maria Madre della Provvidenza, dove insieme al parroco don Volpino diede ospitalità a molte famiglie di ebrei, iniziò un lungo periodo dedicato all’insegnamento, fino ad arrivare in Vicariato con l’incarico di organizzare l’Ufficio per le comunicazioni sociali. E proprio da «prete giornalista» seguì per 50 anni le vicende del Vicariato, dalla sede di via della Pigna a palazzo San Callisto fino al Laterano. Collaborando, tra le altre cose, anche con il Bollettino del Clero, trasformato dal 1960 in Rivista diocesana di Roma.
«Il suo sacerdozio – ha rilevato monsignor Jagosz – era segnato dal “Guai a me se non predicassi il Vangelo”, cui ha risposto soprattutto scrivendo». Quindi ha ricordato un passaggio nel quale lo stesso monsignor Venier affermava: «Più di quella orale mi fu congeniale la parola scritta, prolungamento del mio ministero sacerdotale di evangelizzazione. Con due direttive: far passare la parola della fede anche attraverso la mia riflessione; essere d’aiuto agli interrogativi di quanti sono affamati di risposte. In ascolto di quando detta lo Spirito». Di «“cultura” del giornalismo vissuto» monsignor Venier perla anche nel suo testamento spirituale, letto alla fine della celebrazione da monsignor Cracina. «Una speranza mi domina – è scritto nel testo, vergato a mano con grafia ferma e sicura dal sacerdote –: che sia tutto vero quello che ho creduto, quello per cui ho vissuto e predicato e scritto. la mia speranza si chiama Gesù». (di Federica Cifelli)
26 giugno 2011