L’accoglienza dei bambini a Roma dopo la tragedia di Chernobyl

Un articolo di Roma Sette del febbraio 1995 sull’ospitalità concessa da parrocchie romane a bambini provenienti dalla zona della centrale nucleare

La possibilità di sottrarsi ad un ambiente contaminato dal punto di vista fisico, perché definitivamente compromesso dalla radioattività, ma soprattutto l’occasione di essere inseriti in un ambiente familiare sano e accogliente e vivere (sia pure per breve tempo) un’esperienza di solidarietà e condivisione: in queste prospettive circa 500 bambini, dagli otto ai dieci anni, provenienti dalla devastata Chernobyl vengono ospitati in questi giorni (ma l’appuntamento si ripete ormai da qualche anno) da numerose parrocchie di tutta Italia e naturalmente anche nella capitale.

Qui a Roma in particolare trenta di loro hanno trovato alloggio presso la parrocchia di S. Maria della Misericordia, nel quartiere Prenestino, amorevolmente sostenuti da altrettante famiglie di volontari laici, che si stanno prendendo cura di loro in tutti gli aspetti del soggiorno (quest’ultimo tra l’altro è stato organizzato dall’associazione cattolica Puer).

«L’iniziativa che ripetiamo ormai da qualche anno si è rivelato ottima – confida il parroco Don Pietro – sia per i bambini che per le famiglie, alcune delle quali sono addirittura trasformate. La presenza di questi piccoli infatti ha fornito l’opportunità ai singoli nuclei di essere più uniti e all’intera comunità di autoeducarsi alla partecipazione del dolore altrui alla solidarietà».

«I ragazzi di Chernobyl traggono un vantaggio enorme da questa breve permanenza – spiega Pier Luigi Spinelli, coordinatore del gruppo di famiglie laiche addette all’ospitalità – e questo per diverse ragioni. Anzitutto ne beneficiamo fisicamente perché sia pure per poco (il soggiorno dura infatti in tutto 60 giorni, anche se prevede dei ritorni nei mesi e si spera negli anni avvenire) riescono ad allontanarsi dai villaggi di nascita, irrimediabilmente colpiti dalle radiazioni e a creare anticorpi che consentono loro di superare il periodo più critico perché il più esposto a malattie (quali la leucemia o il cancro alla tiroide) ossia l’adolescenza. In secondo luogo hanno modo di inserirsi in un contesto umano, il nostro, pronto e disponibile in tutti i sensi: le loro giornate prevedono la scuola al mattino fino alle 16 (presso l’Istituto di Suore Missionarie di Santa Francesca Cabrini) mentre nel pomeriggio i bambini rimangono in famiglia e trascorrono il tempo con noi e i nostri figli (il sabato e la domenica organizziamo anche delle gite e dei momenti di intrattenimento). è la seconda volta che io e la mia famiglia viviamo un’esperienza del genere e ne siamo entusiasti perché crediamo che comportandoci così si faccia del bene non solo a questi bambini ma anche a noi stessi il fatto di averli a casa per due mesi tra l’altro crea un legame affettivo molto stretto che continua poi spesso attraverso lettere reciproche, tra noi e loro».

«Sempre in occasione di questa visita ci sono venuti a trovare un sacerdote ucraino e una suora argentina del nostro ordine dalla Bielorussia – aggiunge Suor Valentina delle Missionarie Cabriniane – e hanno distribuito a ciascun bambino una Bibbia e un Vangelo, promettendo di tornare periodicamente per fare opera di catechismo e diffusione della Parola». di Donatella Vasselli

26 febbraio 1995