L’abbraccio della comunità di San Marco a De Donatis
Domenica 7 ottobre il cardinale vicario ha preso possesso del titolo della chiesa al Campidoglio, dove era stato parroco per 12 anni. «Sento il vostro affetto e la vostra preghiera»
Prima di essere una solenne celebrazione, la Messa pontificale per la presa di possesso del titolo di San Marco al Campidoglio da parte del cardinale Angelo De Donatis, vicario del Papa per la diocesi di Roma, è stata un abbraccio a un padre che ritorna a casa. Era infatti gremita di fedeli e amici ieri, 7 ottobre, memoria di san Marco Papa, la basilica parrocchiale di piazza Venezia nella quale il porporato ha svolto il suo ministero di parroco per 12 anni, dal 2003 al 2015. «Ogni volto che ritrovo qui – ha chiosato De Donatis – mi commuove perché corrisponde a un pezzo di strada fatto insieme e sento che ancora ci unisce una fede forte. Continuiamo a tenere viva questa catena in questa Chiesa di Roma che ho sempre amato e che da vicario apprezzo sempre di più, pur con le sue fatiche e difficoltà».
Ad accogliere il cardinale al suo ingresso in basilica, presentandogli il crocifisso per il bacio, è stato il parroco monsignor Renzo Giuliano; De Donatis ha quindi asperso il clero e i fedeli per poi recarsi nella cappella del Santissimo Sacramento per una breve adorazione e di qui alla sagrestia per la processione introitale, che ha raggiunto anche l’ipogeo sotterraneo per la venerazione dei santi martiri deposti nella basilica. Di seguito, secondo il rito, il porporato è salito al coro canonicale sedendo sul trono cardinalizio mentre il cerimoniere pontificio ha dato lettura all’assemblea della bolla pontificia che determina il titolo di San Marco assegnato da Francesco nel Consistoro del giugno scorso.
Nel suo saluto iniziale, don Giuliano ha sottolineato «la gioia di questa comunità per averla come titolare, eminenza, perché conosciamo l’amore paterno per il popolo di cui è capace e sappiamo che “prendere possesso” non ha affatto il valore di appropriazione quanto di passione, senso di appartenenza e sollecitudine pastorale, perciò siamo riconoscenti». Nella sua omelia, commentando il brano del Vangelo di Marco «che qui, oggi, ha un sapore speciale», De Donatis ha primariamente evidenziato la differenza tra l’atteggiamento dei farisei, «desiderosi di sapere che cosa sia lecito e giusto fare secondo la Legge», e quello di Gesù, che «ci riporta al piano della promessa di Dio». Sarebbe infatti «riduttivo guardare a questo testo solo come a un insieme di indicazioni rispetto all’indissolubilità del matrimonio poiché a unire l’uomo e la donna non è solo un atto giuridico ma una particolare qualità dell’amore». Si tratta invece «dell’occasione per istruire i discepoli sul senso della sequela autentica, fatta di fedeltà, di rinnegamento di se stessi per vivere realmente in maniera feconda, che equivale a prendere la croce non come stoica accettazione della sofferenza ma come capacità di vivere l’amore fino alla fine, nonostante la sofferenza».
C’è dunque un cambio di prospettiva da attuare: «Uno spostamento dal piano del “come agisce l’uomo”, che resta fermo come i farisei all’ambito giuridico, a quello del “come agisce Dio”, cui ci introduce Gesù, conducendoci in una dimensione mistica. A chi accoglie la logica del Regno viene offerta la possibilità nuova dentro la sua impossibilità umana». L’indissolubilità nuziale, allora, ha a che fare «con noi come popolo perché Cristo sposa la sua Chiesa – ha chiosato ancora De Donatis – e questo più che un precetto è un dono da accogliere come fanno i bambini che vengono accolti tra le braccia di Gesù: sono i deboli, i piccoli, gli impotenti e il simbolo di chi non può fare affidamento sulle proprie forze». Il cardinale ha confessato che «è così che vivo il mio ministero: sono una persona normale e semplicissima e il Signore si serve di me e questo mi rende pacificato perché non confido nei miei mezzi umani ma nella sua Grazia».
Concludendo, il cardinale ha espresso gratitudine «per tutti voi, consacrati e laici: sono debitore verso ciascuno perché sento il vostro affetto e la vostra preghiera e ogni persona che mi è stata messa accanto mi ha fatto diventare più forte». Tanti i parrocchiani che avevano conosciuto De Donatis presenti in basilica e con loro anche chi ha condiviso con lui un tratto di strada prima che diventasse parroco a San Marco al Campidoglio. Come Graziella che lo ricorda «giovane ed entusiasta vicario parrocchiale con cui i miei figli fecero le prime esperienze di camposcuola» nella comunità della Santissima Annunziata, a Grottaperfetta. O come Dina, che lavorava al Seminario Romano Maggiore «quando don Angelo, umano e disponibile con tutti, era assistente spirituale dei futuri sacerdoti» e Adalgisa, mamma di uno di quei seminaristi, che lo ricorda con affetto.
8 ottobre 2018