La vocazione di cambiare cristianamente la società

Luglio 1976, la testimonianza dell’allora parroco romano Alessandro Plotti dopo il voto che vide a Roma la vittoria del Partito comunista italiano

Siamo in clima di bilanci, dopo la consultazione elettorale. Tutti si preoccupano di dare ai risultati e alle cifre una eloquenza oggettiva e spassionata, anche se poi da tutte le parti si cerca di dimostrare che gli avversari hanno perso e la propria causa ha invece trionfato. Ora di fronte a questa rida di diagnosi, di congetture, di prospettive, di progetti, quale può essere l’opinione di un parroco, di un pastore del popolo di Dio, che non si identifica e non si realizza nella sua realtà in nessuna forza partitica? Mi pare che una prima considerazione possa essere questa: gli elettori, a qualunque partito abbiano dato il loro voto, auspicano un rinnovamento della città. Un rinnovamento strutturale e di servizi, un mutamento di direttive gestionali, un avvicendamento di uomini e di amministratori nuovi, una diversa stimolazione e partecipazione della base alla gestione della cosa pubblica. Dietro alle diverse ottiche presentate dai diversi partiti in lizza, la gente vuole, direi esige, un «nuovo modo di vivere» la realtà sociale e politica, nella convinzione ormai indilazionabile che viene, prima di ogni altro, il riferimento «uomo».

Qualsiasi rinnovamento urbano ne è perciò condizionato senza dubbio alcuno; ed ecco che si può con tutta sicurezza asserire oggi che la componente umana del rinnovo urbano, una delle dimensioni di questo rinnovamento, è certamente quella di maggiore valore di fondo se si fa mente alla estrema importanza e complessità del problema, che si sta presentando ormai in tutti i Paesi europei alla attenzione delle Pubbliche Amministrazioni ed alle popolazioni, questi i veri soggetti su cui deve operare. Potremmo chiamarla la dimensione verticale del problema, intendendola come espressione di alto valore morale, e lasciando alla dimensione orizzontale la problematica tecnica, economica, gestionale, settori tutti di una stessa componente materiale. E questo, mi pare, sia fondamentalmente un problema pastorale, di incarnazione della fede in questo accentuato interesse «umano» a un’opera di intervento nella città carente e mistificato.

La Chiesa non può disattendere questo drammatico problema della urbanizzazione esasperata con tutti i pericoli di segregazione tra quartieri, di rilassamento della solidarietà interna alla famiglia, di emarginazione dei vecchi, di disconoscimento dei valori d’ambiente che porta inesorabilmente ad un urbanesimo materialistico. Lo sforzo pastorale è per una presenza ed una convergenza in ordine ad un approfondimento del senso del «fattore umano» nel rinnovamento cittadino. Non si tratta di parlare di semplice salvaguardia, che ha un poco l’aspetto di una mummificazione, di un congelamento, ma di rinnovamento inteso come recupero di ambienti e di popolo, ciò che comporta un vero capovolgimento di programma rispetto ai concetti sin qui in uso, espressione di una vera «rivoluzione culturale», una rivoluzione a favore dell’uomo come tale.

Il cardinale vicario presentando il Convegno del Febbraio 1974 infatti diceva: «Ci si domanda se la Chiesa abbia ancora qualche cosa da dire alla società di oggi. Ha da dire che il mondo attuale è inaccettabile e che l’uomo ha la vocazione di trasformarlo e di comandare l’orientamento del suo divenire collettivo. Ma è la società stessa che è motore del suo sviluppo. Questa costatazione porta il cristiano, presente attivamente in questo processo, ad interrogarsi nella sua fede e sulla sua teologia. L’impegno per la giustizia e per lo sviluppo, identificativo alla promozione integrale dell’uomo, ha il suo compimento e si pone nella linea stessa della missione della Chiesa, che deve ricordare le esigenze di tutta la vita umana e ricordare a tutti i suoi membri di assumersi la loro responsabilità di uomini nella società, cioè nella politica».

D’ora innanzi un rinnovamento passerà attraverso due aspetti essenziali, che possiamo così definire: uno quello sia qui rispettato, edilizio e culturale; l’altro umano e societario; due aspetti che non possono andare disgiunti fra di loro. Questo secondo aspetto che rappresenta il riconoscimento dell’importanza e del valore dell’elemento uomo, è stato per il passato, dobbiamo riconoscerlo, misconosciuto del tutto dimenticato. E qui nasce allora una seconda considerazione: la Chiesa, la comunità cristiana locale sarà sempre di più, per il futuro, la coscienza critica, anche polemica e cruda se necessario, di un impegno e di una lotta per la giustizia e la partecipazione a costruire insieme un voto nuovo per la nostra città, per un colloquio più a portata d’uomo e meno burocratizzato, più sentito e più aperto, adatto perciò a far partecipare alla gestione del Comune i cittadini di quegli ambienti che conservano particolari caratteristiche umane, culturali, religiose, di vita, quasi sempre protagonisti al sorgere dell’insediamento e dello sviluppo dell’intera comunità.

Mi vengono in mente, a questo proposito, le parole della storica allocuzione delvescovo Massimo chiamato a Milano alla consacrazione della nuova S. Tecla distrutta da Attila, rivolta ai milanesi che si aggiravano sconsolati fra le rovine della città per rincuorarli e persuaderli della rinascita cittadina: «Il barbaro non ha distrutto Milano, perché la città siete voi; ha solo distrutto i vostri abitacoli». La nostra azione pastorale dovrà quindi essere più incisiva per un’opera di conservazione, di aiuto, di miglioramento, di sostegno e di maturazione, per una presenza dei cristiani più attenta e più vera, liberata soprattutto da tutte le ipoteche temporalistiche e per una maggiore sottolineatura di questo aspetto umano. Spetterà anzi proprio alla coscienza cristiana di scoprire questo cammino di identificazione di un nuovo modo di essere cittadini, di intendere e di gestire la città, per ridare umanità e sanità di vita a tutti gli abitanti, risollevandole le sorti, togliendole quel grado di insofferenza e di alienazione universalmente deprecato, per realizzare in fondo una autentica liberazione globale.

Come si identifica però questo umano? Si può pensare di intenderlo come il complesso di tutte le caratteristiche connaturate all’uomo come tale, come facente parte di famiglie, di comunità di vita, di lavoro, di attività religiose, culturali, societarie; insieme delle sue necessità irrinunciabili di informazione, di assistenza, di aiuto, di mobilità, di svago, di riposo, di sanità di vita; ed infine di esplicazione delle sue capacità e possibilità comunque intese di portare il proprio contributo alla comunità intera di cui fa parte. E allora appare evidente che occorre abbattere steccati e barriere fittizie per un’azione autenticamente cristiana che recupera tutte le energie di creatività e di buona volontà ovunque nascano. Diceva l’Abbé Pierre: «il male di oggi nel mondo sta nel credere di poter essere felici senza che lo siano gli altri». Certo vi sono competenze diversificate ed ambiti distinti di azione e di responsabilità, ma il mondo pluralista di oggi e soprattutto di domani chiederà al nostro sforzo pastorale questa verità e questa incisività, nella convinzione che in realtà il problema attuale della giustizia e della carità è il più propizio per una nuova interpretazione del Vangelo e della missione della Chiesa. (Alessandro Plotti)

11 luglio 1976