La vita consacrata e la chiave di volta della pazienza

La Messa celebrata da Francesco nella festa della Presentazione di Gesù al tempio. Il modello di Simeone, capace di «custodire la promessa», e la tentazione della «tristezza interiore»

È stata tutta incentrata sulla pazienza l’omelia pronunciata da Papa Francesco ieri, 2 febbraio,  durante la Messa celebrata all’Altare della Cattedra di San Pietro, in occasione della festa della Presentazione di Gesù al tempio, preceduta dalla tradizionale benedizione delle candele con la suggestiva processione nella basilica al buio. Una ricorrenza dedicata in particolare ai religiosi e alle religiose nella Giornata della vita consacrata, istituita 25 anni, nel 1997, da san Giovanni Paolo II. Con il pontefice hanno concelebrato il prefetto, il cardinale Joaõ Braz de Aviz, il segretario monsignor José Carballo e i sacerdoti officiali della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, oltre ai superiori generali degli ordini religiosi.

Commentando il Vangelo di Luca, il Papa ha messo in evidenza la pazienza di Simeone: «Per tutta la vita egli è rimasto in attesa e ha esercitato la pazienza del cuore. Nella preghiera ha imparato che Dio non viene in eventi straordinari ma compie la sua opera nell’apparente monotonia delle nostre giornate, nel ritmo a volte stancante delle attività, nelle piccole cose che con tenacia e umiltà portiamo avanti cercando di fare la sua volontà». Nonostante le delusioni della vita, «non ha perso la speranza; con pazienza, egli custodisce la promessa». Il Papa si è chiesto: «Da dove ha imparato Simeone questa pazienza? L’ha ricevuta dalla preghiera e dalla vita del suo popolo». La pazienza di Simeone, dunque, «è specchio della pazienza di Dio». Francesco ha citato Romano Guardini, che «diceva: “La pazienza è un modo con cui Dio risponde alla nostra debolezza, per donarci il tempo di cambiare. Questo è il motivo della nostra speranza: Dio ci attende senza stancarsi mai”. Il suo amore non si misura sulla bilancia dei nostri calcoli umani ma ci infonde sempre il coraggio di ricominciare. Ci insegna – ha aggiunto a braccio – la resilienza, il coraggio di ricominciare ogni giorno, dopo le cadute, sempre: lui è paziente». Il Papa ha poi invitato a fare un confronto con «la nostra vita consacrata». La pazienza, ha spiegato, «non è segno di debolezza: è la fortezza d’animo che ci rende capaci di portare il peso, di sopportare il peso dei problemi personali e comunitari».

Francesco ha quindi indicato «tre luoghi in cui la pazienza si concretizza. Il primo è la nostra vita personale». Può capitare, ha affermato, «nella nostra vita di consacrati, che la speranza si logori a causa delle aspettative deluse. Dobbiamo avere pazienza con noi stessi e attendere fiduciosi i tempi e i modi di Dio: Egli è fedele alle sue promesse. Questa è la pietra basale». E ancora a braccio ha ammonito: «La tristezza interiore in noi consacrati è un verme che ci mangia da dentro, fuggite dalla tristezza interiore». Poi la vita comunitaria, dove occorre «pazienza reciproca: sopportare, cioè portare sulle proprie spalle la vita del fratello o della sorella, anche le sue debolezze e i suoi difetti. Ricordiamoci questo: il Signore non ci chiama a essere solisti, ce ne sono tanti nella Chiesa, ma a essere parte di un coro, che a volte stona, ma sempre deve provare a cantare insieme». Infine, «la pazienza nei confronti del mondo». Simeone e Anna «non intonano il lamento per le cose che non vanno ma con pazienza attendono la luce nell’oscurità della storia. Attendere la luce nell’oscurità della propria comunità. Abbiamo bisogno di questa pazienza, per non restare prigionieri della lamentela: alcuni sono maestri nella lamentela, sono dottori. La lamentela imprigiona: “Il mondo non ci ascolta più, non abbiamo più vocazioni, dobbiamo chiudere la baracca, viviamo tempi difficili…”. A volte succede che alla pazienza con cui Dio lavora il terreno della storia e del nostro cuore, noi opponiamo l’impazienza di chi giudica tutto subito: adesso o mai, adesso, adesso, adesso. E così perdiamo la speranza. Tanti consacrati ho visto che perdono la speranza semplicemente per impazienza – ha spiegato il Papa -. La pazienza – ha concluso – ci aiuta a guardare noi stessi, le nostre comunità e il mondo con misericordia. Abbiamo bisogno della coraggiosa pazienza di camminare, di esplorare strade nuove, di cercare cosa lo Spirito Santo ci suggerisce. E questo si fa con umiltà, con semplicità, senza grande pubblicità».

3 febbraio 2021