La tutela della vita, «meraviglia e mistero»

Don Pegoraro (Pontificia Accademia per la vita) e Navarini (Università Europea di Roma) a confronto nel webinar proposto dall’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum

Esiste veramente un diritto all’aborto e al fine vita? E in che modo la Chiesa può ancora indicare la strada da seguire su questi temi? A queste domande hanno risposto ieri, 4 luglio, don Renzo Pegoraro, cancelliere della Pontificia Accademia per la vita, e Claudia Navarini, ordinario di Filosofia morale all’Università Europea di Roma. Il confronto è stato al centro del webinar “Spunti e riflessioni sulla tutela della vita”, promosso dall’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e moderato dal giornalista di Avvenire Francesco Ognibene.

«I nuovi poteri della scienza e della medicina stimolano nuove sfide – ha detto Pegoraro -. In particolare, quella di far fronte alle nuove possibilità affinché siano poste a beneficio della persona umana e non a svantaggio. L’aborto e il fine vita non possono essere considerati diritti universali. Tutto sta diventando diritto e non si comprende più che cosa sono i doveri e i valori». Sulla stessa scia Navarini, che ha sottolineato come «la libertà sia ormai percepita sempre più come un’espansione illimitata dello spazio soggettivo. Molti degli usi attuali di questo concetto – ha detto la docente – sono diventati strumentali a una cultura dello scarto, come dice il Papa». Tuttavia, ha aggiunto, «questo non vuol dire negare la libertà, ma solo affermare che non è assoluta, perché una libertà assoluta equivale a una non libertà».

In questo senso, secondo Pegoraro, il pericolo è quello di svuotare il concetto di vita umana, riempiendolo in termini esclusivamente funzionali. «È importante invece rimarcare l’importanza e l’esistenza della persona anche quando non ha sviluppato tutte le facoltà biologiche o quando esse sono danneggiate», ha evidenziato il sacerdote, che ha invitato a «riscoprire la meraviglia e il mistero della vita e a non ingabbiarla nei criteri del successo e del fallimento». Senza la promozione di questa visione, «è difficile che nascano progetti di tutela della vita».

Entrando più nello specifico sull’aborto, Navarini ha sottolineato come non possa essere definito un diritto, in quanto non corrisponde a un bene. «Le donne che lo sperimentano sono strappate a loro stesse. È dunque una profonda falsificazione dell’esperienza di un male sentito come necessario». Pegoraro ha così indicato alcune strade da seguire. In primis, promuovere una maggiore informazione per smuovere le coscienze. «I giovani – ha spiegato il sacerdote -, quando studiano come nasce la vita umana, ne rimangono affascinati e capiscono che cosa significa interrompere una gravidanza». In secondo luogo, «supportare più profondamente le donne che hanno abortito, in quanto la rimozione del problema lascerebbe loro ferite ancora più profonde». E infine ripensare anche l’approccio verso la maternità, che «è in pericolo non solo a causa delle poche nascite, ma anche perché è in crisi l’esperienza della genitorialità».

Riflessioni che, secondo Navarini, ci devono interrogare anche sul tema del fine vita. «Tanti malati terminali – ha sottolineato la professoressa –sono troppo spesso disprezzati nella loro vulnerabilità. La prima cosa da fare è invece mettersi accanto alle persone e fargli sentire la loro importanza a prescindere dalla malattia. È pericoloso interpretare queste situazioni di sofferenza come richieste di morte». Per questo motivo, ha concluso Pegoraro, «la Chiesa si sta muovendo nella promozione delle cure palliative. L’aiuto al suicidio è una sconfitta sociale. La dignità della vita non può essere garantita dall’eutanasia o dal suicidio assistito. La sfida non è eliminare prima, ma accompagnare meglio».

5 luglio 2024