La tratta e la guerra nell’incontro per gli operatori delle parrocchie

L’appuntamento formativo di Caritas, Migrantes e Centro missionario della diocesi. Il vescovo Ambarus alla Cei per predisporre l’accoglienza dei profughi

La diocesi di Roma si prepara ad accogliere i profughi in fuga dalla guerra in Ucraina. Oggi, 28 febbraio, il vescovo Benoni Ambarus, delegato diocesano per la Carità, per i Migranti, per la Pastorale dei rom e dei sinti, incontrerà i responsabili Cei per fare il punto della situazione e «predisporre in maniera coordinata» l’accoglienza, perché è importante «dare consistenza alle parole pronunciate mentre si è trasportati dall’onda emotiva». Il presule, sabato 26 febbraio, ha aperto l’incontro di formazione “Tratta, la forza della cura. Donne, economia, tratta di persone” promosso da Caritas diocesana, Ufficio diocesano Migrantes e Centro missionario diocesano, nella Sala Tiberiade del Pontificio Seminario Romano Maggiore. «In questi giorni il nostro cuore è affannato dalla sofferenza e dallo smarrimento della guerra», ha detto il vescovo Ambarus chiedendo di pregare tanto per le vittime, a partire dai bambini che «subiscono senza sapere il perché», quanto per «i carnefici di questa follia. Nel cuore dei credenti vanno tenuti insieme». Per il vescovo è importante essere «consapevoli» che il dramma dell’Ucraina «riguarda anche noi. Prestissimo toccherà a tutti fare la propria parte perché decine di migliaia di persone arriveranno qui e busseranno alle nostre case; dovremo allora dimostrare quanto è consistente la nostra sensibilità. Questo dramma dell’Ucraina farà da setaccio sulla solidità delle nostre parole». Ambarus ha ricordato «il delirio emotivo» suscitato per i profughi afghani in fuga dai talebani a metà agosto. «In Italia ne sono arrivati circa 7mila – ha detto -. Come Caritas Roma abbiamo faticato molto per riuscire ad accoglierne in tutta la diocesi una quarantina. Dall’Ucraina potrebbero arrivare 20, 30, 50mila persone. Dobbiamo riscoprire la forza della cura e quella della preghiera, perché più preghiamo più ci sensibilizziamo».

Passando poi al tema dell’incontro, il presule ha ricordato che il Coordinamento diocesano anti tratta sta organizzando nella XVI prefettura per il 18 marzo, secondo venerdì di Quaresima, una Via Crucis che attraverserà viale Palmiro Togliatti fino alla parrocchia San Bernardo di Chiaravalle, a Centocelle, dove Papa Francesco ha destinato la statua di Santa Giuseppina Bakhita scolpita dall’artista Timothy Schmalz e benedetta durante la recita dell’Angelus di domenica 6 febbraio. Suor Gabriella Bottani, missionaria comboniana e coordinatrice internazionale della rete della vita consacrata Talitha Kum – nata nel 2009 per coordinare e rafforzare le attività contro la tratta di persone -, ha osservato che la tratta è «un crimine difficile da identificare e quantificare. I numeri servono a fare scoop comunicativi – ha detto -. Bisogna comprendere che con la tratta viene messa in crisi l’umanità della società». Un fenomeno cresciuto durante la pandemia e che spesso si identifica solo con lo sfruttamento della prostituzione. La religiosa, invece, ha messo in evidenza che la tratta è un problema «non riconoscibile ai nostri occhi» perché si cela sotto numerose forme. Lo sfruttamento sessuale è una di queste e comprende sia la prostituzione sia la pornografia. Tra le forme di schiavitù bisogna annoverare anche lo sfruttamento lavorativo che interessa la servitù domestica, come colf e badanti, il caporalato nel settore agricolo e nel campo dell’edilizia, nell’area della pastorizia, i carcerati spesso costretti a delinquere. E poi c’è la tratta dei matrimoni forzati. Le vittime di queste forme di schiavitù «non hanno segni facilmente riconoscibili – ha aggiunto suor Gabriella -. Per comprendere la vittima della tratta bisogna entrare in contatto con queste realtà e vulnerabilità», essere formati e informati per riuscire a prendersi cura di chi subisce i soprusi. Spesso, ha spiegato, un ruolo fondamentale lo possono rivestire i sacerdoti che raccolgono in confessione gli sfoghi delle vittime, o gli insegnanti che possono intercettare il dolore delle spose bambine. Con la pandemia, inoltre, come accaduto con lo smart working, anche «il fenomeno della tratta si sta spostando nelle case, rimanendo ancora più nascosto».

Nell’incontro, moderato dal giornalista dell’Osservatore Romano Davide Dionisi, il sociologo Stefano Volpicelli ha rimarcato che è impossibile quantificare l’ampiezza del fenomeno anche a causa del «protocollo Onu che, riguardo alla tratta, ne dà una definizione disastrosa. Non solo è scritto male dal punto di vista giuridico e semantico ma è uno strumento giuridico in cui l’atto criminoso non è lo sfruttamento bensì l’arruolamento, l’accoglienza, il trasporto. Non ci sono dati perché non si può provare di essere vittime di tratta. Il difetto sta nel protocollo e le stesse vittime si rifiutano di denunciare perché non c’è nessun beneficio a farlo ma solo un aggravamento delle condizioni di vita». Per Volpicelli si parla di tratta, «una prassi che dura da 30 anni», anche quando si fa riferimento alla guerra in Ucraina: «Il mondo non si è reso conto di cosa stesse accadendo». Il tema della tratta è uno di quelli sui quali «bisogna fare un salto di qualità dal punto di vista propositivo e politico», ha infine detto il direttore della Caritas di Roma Giustino Trincia, il quale ha proposto la creazione e la diffusione di «un almanacco delle buone pratiche per intervenire a monte su certe problematiche».

28 febbraio 2022