La tradizione: una vocazione generativa

Il convegno al Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II, nell’anno Famiglia Amoris Laetitia. L’età di mezzo e l’esercizio della cura: quando si “eredita” dai genitori e si prepara l’eredità per i figli

La trasmissione da padre in figlio della vita, della fede, delle tradizioni, dei beni e dei talenti, oltre che essere una vocazione generativa, contribuisce a mantenere perenne memoria dell’inarrestabile ciclo vitale della famiglia e rafforza l’alleanza intergenerazionale. Una dimensione che appartiene all’uomo di ogni nazionalità e di ogni tempo e che trova ampio spazio nell’esortazione apostolica Amoris Laetitia. Al tema è stato dedicato il convegno “Tradizione: l’eredità che promuove” svoltosi ieri, 5 aprile, nell’auditorium Carlo Caffarra del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II. La giornata di studio, organizzata dallo stesso Istituto in collaborazione con la diocesi di Roma e con il dicastero pontificio per i Laici, la famiglia e la vita, rientra nel novero delle iniziative culturali, spirituali e pastorali ideate nell’anno “Famiglia Amoris Laetitia“, inaugurato da Papa Francesco il 19 marzo 2021, in occasione del quinto anniversario della promulgazione dell’esortazione apostolica, che si chiuderà il 26 giugno prossimo a Roma, in concomitanza con il X Incontro mondiale delle famiglie.

Per spiegare la tradizione «si è preferito utilizzare la categoria dell’eredità, il gesto con il quale una generazione precedente lascia qualcosa a quella successiva in modo che questa possa godere di quanto non ha preparato con le sue mani – ha spiegato don Giovanni Cesare Pagazzi, direttore scientifico del convegno -. Anche la Chiesa dona beni dottrinali prodotti dalle generazioni ecclesiali precedenti. La tradizione, come insegna Papa Francesco, non può trasformare qualcosa di vitale in un museo». Finalità del convegno, ha concluso il teologo, è quello di «rispondere alle critiche che sono state mosse ad Amoris Laetitia interpretato solo come un documento dedicato alla famiglia. La portata dell’esortazione apostolica è molto più ampia, riguarda anche l’idea di tradizione e spiega il rapporto tra le varie generazioni di credenti».

La logica della tradizione come crescita è intrinseca nella storia dell’Istituto, ha osservato il Gran cancelliere Vincenzo Paglia. «Lo si vede chiaramente nel nuovo piano di studi – ha spiegato -. È davanti a noi la ricchezza di pensiero e di prospettive. L’Istituto deve avere l’ambizione di arricchire ancora la sua offerta formativa e la sua produzione culturale. Abbiamo già moltiplicato i talenti ricevuti, ma vanno moltiplicati ancora. Ed è una grande responsabilità che abbiamo di fronte alla Chiesa e di fronte alla società». Il preside del Giovanni Paolo II Philippe Bordeyne si è soffermato sull’educazione e la cura dei figli come esperienza formativa anche per i genitori, che si manifesta nelle virtù. «Spesso è assumendo il proprio dovere di iniziare i figli alla preghiera che i genitori ne reimparano la semplicità e la regolarità – ha detto citando alcuni esempi -. Reimparano la magnanimità quando accolgono un figlio che chiede perdono dopo un errore, o il coraggio quando il loro figlio, affetto da un handicap o da una difficoltà particolare, mostra tenacia nel superare questa prova. I genitori reimparano anche la pazienza dai propri genitori che, nella loro condizione di nonni, mostrano tesori di comprensione che a volte mancano ai genitori».

Parlando invece delle famiglie, piccole chiese domestiche, Bordeyne ha detto che «pensare la famiglia come “piccola ecclesia” non significa darle il compito di conformarsi a un quadro che sarebbe predefinito da pastori che non hanno essi stessi fondato una famiglia. Le famiglie, nella loro diversità biografica e culturale, sono chiamate a offrire umilmente il loro stile di vita, fatto di affetti e conflitti, di riconciliazione e pazienza reciproca nell’apprendimento della vita insieme, come vera matrice di vita per la Chiesa». E riattivare l’alleanza tra nucleo familiare e comunità cristiana «non è impossibile», ha specificato Pierangelo Sequeri, direttore della Cattedra Gaudium et spes. «La restituzione della fede alla quotidiana esperienza dell’amore di Dio è ormai una questione d’onore per la Chiesa, che deve rinsaldare i legami. Una questione d’onore che l’Istituto Teologico Giovanni Paolo II può e deve raccogliere».

Il tema ricorrente della giornata di studio è stato quello dell’età di mezzo, ossia quel momento della vita in cui si eredita dai genitori e al tempo stesso si prepara l’eredità per i figli. A tal proposito Stephan Kampowski, ordinario di Antropologia filosofica, si è soffermato su due prospettive: quella dell’arco della vita e quella del ciclo della vita. La prima si ha quando «si è raggiunto l’apice della vita e si comincia a notare un declino delle proprie capacità mentali e fisiche. Nella visione del ciclo di vita, la mezza età è definita dall’assunzione contemporanea di diversi ruoli sociali definiti principalmente dalla parentela: una persona di mezza età è allo stesso tempo un coniuge, un genitore e un figlio adulto». Nell’età di mezzo, ha aggiunto Pierpaolo Triani, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, «l’adulto vive in modo forte la condizione di un soggetto che si trova nelle necessità di dedicarsi a se stesso e agli altri. Non è più il tempo in cui ci si può appoggiare molto sugli altri, è invece la stagione in cui in prima persona ci si trova nella situazione dove si esercita la cura. Cura che diventa anche preoccupazione e non poche volte ansia».

6 aprile 2022