“La stranezza”: Andò rilegge Pirandello

Una storia drammatica con venature ironico-comiche, che ruota intorno al tormento del drammaturgo per un teatro combattuto tra verità e finzione. Notevole la ricostruzione d’epoca

L’omaggio per l’ottantesimo compleanno di Giovanni Verga, nel 1920, è l’occasione che motiva il ritorno in Sicilia di Luigi Pirandello. Tuttavia, appena arrivato a Girgenti una notizia triste e dolorosa accoglie lo scrittore: Maria Stella, l’amata balia, è deceduta nella notte. Così i suoi programmi devono cambiare. Prende il via da qui La stranezza, il nuovo film di Roberto Andò, presentato quale Anteprima della 13ª edizione della Festa del Cinema di Roma (13-23 ottobre) e in uscita nelle sale dal 27 ottobre. Il titolo è volutamente generico e ambiguo. Vuole indicare una situazione difficile da interpretare e da spiegare. A significarlo basta dire che per quasi tutta la prima parte Pirandello non è riconosciuto come tale e si muove nelle strade del suo paese natale in forma anonima.

A rompere l’equivoco provvede un banale disguido che fa ritardare il funerale della balia e costringe lo scrittore a confrontarsi con l’inferno della corruzione degli addetti al cimitero. È in questa circostanza che Pirandello fa conoscenza con Nofrio e Bastiano, due becchini addetti ai trasporti funebri. L’incontro con queste persone porta in primo piano il momento particolarmente difficile che Pirandello sta vivendo, ossessionato all’idea strana e ancora indefinita di una nuova commedia. La confusione cresce in lui, fino a indurlo a seguire di nascosto le prove dei due attori dilettanti. Da questo momento in poi tutte le sfumature possibili delle messe in scena trovano una giustificazione: il vero e il falso; personaggi veri e inventati, il comico che diventa tragedia e viceversa. Tra equivoci e imbarazzi si arriva al 1921 al Teatro Valle di Roma la sera della prima rappresentazione di Sei personaggi in cerca d’autore con Nofrio e Bastiano in platea spettatori incerti e confusi, condotti quasi senza volerlo verso un finale imprevedibile.

Roberto Andò gira una storia drammatica con venature ironico-comiche. Accanto al duo Ficarra e Picone, che garantisce il lato divertente, il resto del testo ruota intorno alla figura di Luigi Pirandello e al suo incessante tormento per un teatro combattuto tra verità e finzione. La ricostruzione d’epoca è senz’altro notevole, tutti gli attori sono bravi e motivati (Toni Servillo è Luigi Pirandello, come sempre intenso e di grande forza espressiva), la finestra aperta su una fetta di Italia mai troppo conosciuta e studiata è azzeccata e saporosa. Roberto Andò, nato a Palermo l’11 gennaio 1951, conferma la propria predilezione per un cinema che trova nel teatro una solida base narrativa e un sicuro riferimento stilistico. Ricordiamo, tra i suoi titoli, Il manoscritto del Principe (2000) e Le confessioni (2016). E i “gialli”, omaggio a Leonardo Sciascia (Sotto falso nome, 2004; Una storia senza nome, 2018). Resta la sensazione che Andò sia sempre alla ricerca del grande film che costeggia ma non raggiunge.

24 ottobre 2022