La storia di Mariae, «clandestina» a Berlino

Nella testimonianza consegnata al figlio Hermann, il racconto mozzafiato della sua esistenza da ebrea nel cuore della capitale del nazismo

Nella testimonianza consegnata al figlio Hermann, il racconto mozzafiato della sua esistenza da ebrea nel cuore della capitale del nazismo

Può accadere che le fonti storiche, soprattutto le testimonianze autobiografiche, assumano dimensione letteraria. A volte la forza del contenuto costituisce un valore in sé, a prescindere dall’originalità stilistica. È questo il caso, io credo, della testimonianza che Marie Jalowicz Simon, ebrea tedesca nata il 4 aprile 1922, consegnò al figlio Hermann, poco prima di morire il 16 settembre 1998. Un racconto mozzafiato sulla sua esistenza a Berlino, dal 1942 al 1945, conservato in 77 cassette registrate da cui, grazie anche al contributo di Irene Stratenwerth, è nato un libro, uscito in Germania lo scorso anno e ora tradotto per Einaudi da Isabella Amico di Meane. Titolo: Clandestina (pp. 331, 20 euro).

Sopravvivere da ebrea nella capitale del nazismo, prima come operaia coatta presso gli stabilimenti della Siemens, poi da sola, senza appoggi familiari, utilizzando vari nascondigli, è stata per Marie un’avventura straordinaria quasi impossibile da credere, se il figlio, storico di professione, non avesse verificato puntualmente ogni sua citazione di luoghi e persone. Chiunque sia stato a Berlino non ha difficoltà a riconoscere, nelle precise descrizioni della fuggiasca, molti scorci urbani, i quali emergono a tratti anche dalle fotografie comprese nel volume.

La giovane donna, dopo essersi strappata la stella di Davide che i nazisti l’avevano obbligata a cucirsi sulla giacca, è rimasta nella città come una preda indifesa nella pianura dove scorrazzavano i predatori. Mentre in Europa nei lager si realizzava lo sterminio industriale e amministrativo degli ebrei, Marie cercava rifugio nella tana del lupo trovando aiuto dalle persone più umili: vecchi, invalidi, vagabondi, mendicanti, povere famigliole, artisti di strada, amici dispersi pronti ad accoglierla in sgabuzzini, cantine, soffitte, stanzette ammuffite. Lei riesce sempre a cavarsela sfruttando una notevole forza d’animo.

Il desiderio di sopravvivere e la sua giovinezza la spingono a compiere gesti assai pericolosi. Deve fronteggiare le lusinghe di molti uomini. È costretta ad abortire. Falsifica i documenti. Spera di sposarsi con un cinese. S’innamora di un bulgaro e tenta, inutilmente, di varcare le frontiere turche per arrivare in Palestina. Vive con un ragazzo olandese. Soffre il freddo. Patisce la fame. Sfugge ai terribili bombardamenti degli ultimi giorni. Quando Berlino viene liberata dai russi, è costretta a difendersi anche dall’assalto dei soldati sovietici, pronti a vendicarsi contro i tedeschi. Dopo la guerra Marie proseguirà gli studi interrotti e diventerà professoressa di filologia classica all’università, sposandosi con un antico compagno di scuola. Abiterà sempre a Berlino, prima nella zona Est, poi nella città senza più il muro. Il fatto che non sia voluta emigrare in Israele rappresenta un implicito omaggio a quei tedeschi che, rischiando la vita, decisero di ospitarla durante il nazismo.

9 marzo 2015