«La spia», un thriller tra azione e riflessione

Nelle sale l’ultimo film dell’attore Philip Seymour Hoffman, con una sua interpretazione scavata e sofferta. All’origine della storia, il romanzo “Yssa il buono”, pubblicato da John Le Carré nel 2008

Dentro l’etichetta di cinema «di genere» entrano tanti prodotti di vario livello spettacolare e narrativo. Tra i «generi» di maggior fortuna rientra certamente la «spy story», ossia quel grande comparto che prende spunto dalla realtà politico-storica per farne materia di vicende intriganti ed emozionanti. Il primo esempio che viene a mente è quello dell’Agente 007. Riviste oggi, le avventure di James Bond aiutano a ripercorrere quello che è successo negli ultimi 50 anni tra Oriente e Occidente. Mutati molti scenari politici, la spy story ha modellato il proprio intervento sulle nuove realtà della cronaca, in primo luogo la minaccia dell’integralismo soprattutto dal dopo-11 settembre.

Visto in chiusura del recente Festival di Roma, esce nelle sale La spia – A most wanted man, con un punto di partenza che è già una garanzia. All’origine c’è infatti il romanzo Yssa il buono, pubblicato da John Le Carré nel 2008. Il rapporto tra il famoso scrittore inglese e il cinema ha prodotto negli anni titoli molto famosi quali, tra i recenti, La Casa Russia, 1990; Il sarto di Panama, 2000; La talpa, 2011. La vicenda si svolge ad Amburgo, e lo stile del regista, l’olandese Corbin, ha il giusto approccio «europe», il che significa molta introspezione e pochi effetti speciali. Gunther Bachmann, detective di una unità antiterrorismo, è sulle tracce di Issa Karpov, un giovane mezzo russo e mezzo ceceno, deciso a recuperare il denaro che il padre, noto criminale di guerra, ha accumulato negli anni. Issa è praticante musulmano e ogni mossa nei suoi confronti va calibrata con misura.

Gunther si muove secondo un proprio codice, che si scontra con le indicazioni dei superiori, tedeschi e americani. Issa inoltre è difeso da Annabelle, un’avvocatessa intenzionata a far rispettare i diritti degli immigrati. La storia insomma ha molte occasioni per complicarsi, per calare i protagonisti in un groviglio sempre più intrigato, fino a un finale che è del tutto opportuno non rivelare. Basta dire che i personaggi sono filtrati attraverso sguardi caratteriali che disegnano fatti e sottofatti, emozioni e chiaroscuri, azione e psicologia, le colpe passate, la solitudine del quotidiano, delusione, rabbia, senso della sconfitta. Sono i meccanismi tipici della spy story, con uomini e donne in lotta per salvare il mondo, un obbiettivo per il quale spesso rinunciano a salvare se stessi. Da aggiungere che a dare vigore e intensità alla figura di Gunther c’è Philip Seymour Hoffman, con una interpretazione scavata e sofferta, purtroppo la sua ultima prima della prematura scomparsa nel febbraio 2014.

 

3 ottobre 2014