La sicurezza sul lavoro e la realtà di un’economia che uccide

A Santa Maria ai Monti l’incontro proposto dall’Ufficio diocesano per la pastorale sociale. L’avvocato Leppe: «Statisticamente, muoiono i lavoratori meno qualificati»

Lavoro, dignità e sicurezza. Tre temi strettamente correlati tra loro. Tre diritti da garantire e che oggi, con 600mila incidenti sul luogo di lavoro ogni anno, richiedono risposte urgenti. Perché la morte di operai, artigiani, agricoltori, autotrasportatoti «è un dramma a cui non ci si può rassegnare», ha detto monsignor Francesco Pesce, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale sociale, il lavoro e la cura del creato, aprendo ieri, 20 settembre, nella parrocchia di Santa Maria ai Monti, il primo appuntamento del ciclo di incontri “Un lavoro è dignitoso solo quando è un lavoro sicuro”. «Un momento di riflessione e anche di preghiera, come quella che fece Abramo preoccupandosi di tutta la città – ha spiegato -. Sono fiducioso che con il lavoro e la preghiera di tutti si possa porre più attenzione su questo tema e maggiore attenzione significa maggiore sicurezza».

Oliviero Bettinelli, vice direttore dell’Ufficio diocesano, ha rimarcato che con il nuovo anno pastorale «si vuole aprire una riflessione condivisa, una sorta di osservatorio, coinvolgendo chi conosce bene le problematiche legate al tema della sicurezza unito a quello della dignità. Questo non è un punto di arrivo ma di partenza». Dalle testimonianze di esperti del settore è emerso che anche il tema della sicurezza sul posto lavoro è spesso sacrificato sull’altare del “dio denaro”. «Gesù diceva: “I poveri li avete sempre con voi” – ha proseguito monsignor Pesce -. Se oggi si dovesse scrivere un quinto Vangelo il titolo sarebbe: “I poveri muoiono per primi”. Questa è la realtà di un’economia che purtroppo uccide, come dice spesso Papa Francesco».

Daniele Leppe, avvocato romano che assiste i lavoratori e collabora con i sindacati di Roma e del Lazio, ha offerto un quadro su quelli che sono i settori e le categorie di lavoratori più esposti. Tra questi ultimi, i decessi tra i cittadini immigrati sono il doppio rispetto a quelli degli italiani e questo significa che «statisticamente muoiono le persone che sono addette a lavori meno qualificati – ha affermato -, che sono in basso nei gradini sociali delle attività lavorative del nostro Paese. E sono poi quelli che spesso sono impiegati con maggiore facilità nei lavori in nero perché più facilmente ricattabili in relazione alle loro condizioni lavorative».

Le attività in cui si registrano maggiori decessi sono l’edilizia, l’agricoltura, il settore terziario. «Sono attività professionali in cui il lavoro precario ha uno sviluppo più elevato», ha proseguito Leppe, che imputa molta responsabilità anche a una «legislazione lasca che prevede sanzioni di natura pecuniaria che non hanno effetto deterrente. I datori di lavoro assumono il rischio di incorrere in una sanzione piuttosto che introdurre misure di sicurezza adeguate». Altro problema è quello dei controlli «demandati all’ispettorato del lavoro, che ha un numero di controllori assolutamente inadeguato rispetto al numero di imprese presenti in Italia. Si calcola che, in relazione al numero di addetti dell’ispettorato, un’impresa può essere mediamente sottoposta a un controllo una volta ogni 9 anni», ha concluso.

La scarsissima probabilità di verifiche influisce anche sui corsi in materia di sicurezza sul lavoro, ha evidenziato Angelo Di Pietro della Bms Consulting Cooperativa. «I datori di lavoro preferiscono pagare una sanzione perché il costo è inferiore rispetto alla formazione – ha riferito -. Questo perché c’è l’idea che la sicurezza sul lavoro sia una sorta di tassa occulta, un’ulteriore richiesta da parte dello Stato. Molti lavoratori ignorano che c’è una legge sui programmi di formazione. Questo perché per la mancata sicurezza sul lavoro non c’è abbastanza disapprovazione sociale, cioè non c’è coinvolgimento da parte della società».

21 settembre 2023