La schiava di Filippi e il prezzo della verità

Negli Atti degli Apostoli, una testimonianza «fino ai confini della terra». La statura morale di una donna senza nome e di quante anche oggi non si arrendono a dire falsità per i loro “padroni”

«Mentre andavamo alla preghiera, venne verso di noi una schiava che aveva uno spirito di divinazione: costei, facendo l’indovina, procurava molto guadagno ai suoi padroni. Ella si mise a seguire Paolo e noi, gridando: “Questi uomini sono servi del Dio altissimo e vi annunciano la via della salvezza”». Il libro degli Atti degli Apostoli narra i successi e le vicissitudini della missione degli apostoli e delle loro discepole e discepoli che assolvevano al mandato di Gesù: «Mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8). Irresistibile era lo Spirito d’amore e verità che li ispirava e che accendeva i loro piedi e la loro bocca di un fuoco di speranza da condividere con tutti.

Così le donne, in particolare, erano le prime ad accogliere il Vangelo e a fare delle loro case le prime chiese, il luogo dove si riunivano «tutti coloro che venivano alla fede» e dove non c’era «alcun bisognoso» ma tutti erano uniti in «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32-35). Non solo, dunque, le donne sapevano riconoscere la fonte della salvezza e della vita piena ed eterna che era nel messaggio portato dagli apostoli ma alcune tra loro sapevano, addirittura, riconoscere da sole l’identità di quei «servi del Dio altissimo». È il caso di questa schiava che faceva l’indovina e che, ascoltando le parole di Paolo e Sila, non aspettò che fossero loro a rivolgersi a lei ma lei stessa si diresse da loro. Di solito accadeva il contrario: essendo un’indovina era la gente che andava a consultarla sulla propria fortuna. Questa indovina era davvero onesta ed era pronta a rinunciare al proprio “posto” pur di garantire voci di verità ai suoi clienti, agli abitanti della città di Filippi.

«Così fece per molti giorni, finché Paolo, mal sopportando la cosa, si rivolse allo spirito e disse: “In nome di Gesù Cristo ti ordino di uscire da lei”. E all’istante lo spirito uscì. Ma i padroni di lei, vedendo che era svanita la speranza del loro guadagno, presero Paolo e Sila e li trascinarono nella piazza principale davanti ai capi della città». L’onestà della schiava non fu gradita ai suoi sponsor, a quelli, cioè che gestivano e guadagnavano assai con le sue prestazioni oracolari. Veniamo a scoprire che la povera donna aveva sì delle autentiche qualità divinatorie, sapeva cogliere la verità sotto la coltre dell’apparenza, ma era schiava di chi le garantiva un essenziale mantenimento, ricavando, invece, esosi guadagni dalle sue virtù e dalla sua attività. E quando Paolo, dimostrando di essere davvero un “servo del Dio Altissimo”, vale a dire del Dio che era al di sopra dello “spirito” che ispirava la donna, la fece tacere, senza volerlo attirò su di sé e su Silvano le ire degli sponsor i quali ne approfittarono per accusarli di sedizione: «Presentandoli ai magistrati dissero: Questi uomini gettano il disordine nella nostra città; sono Giudei e predicano usanze che a noi Romani non è lecito accogliere né praticare».

La verità era un’altra: i padroni dell’indovina non erano preoccupati di salvaguardare le tradizioni della propria città quanto piuttosto i propri illeciti guadagni. Facile fu, poi, convincere la folla, purtroppo superficiale e pronta anche a usare violenza senza interrogarsi sulla realtà delle cose e del tutto arrendevole alla propaganda: «La folla allora insorse contro di loro e i magistrati, fatti strappare loro i vestiti, ordinarono di bastonarli e, dopo averli caricati di colpi, li gettarono in carcere e ordinarono al carceriere di fare buona guardia. Egli, ricevuto quest’ordine, li gettò nella parte più interna del carcere e assicurò i loro piedi ai ceppi».

Dinanzi a questa scena della vita dei primi apostoli della fede cristiana, grande si mostra la statura morale e la limpidezza spirituale di questa donna, senza nome né dignità, essendo stata ridotta in schiavitù. In lei appaiono tutte quelle donne che non si arrendono a dire falsità per ubbidire ai loro “padroni”, che non accettano di imbrogliare il prossimo solo per garantirsi un pezzo di pane che – come direbbe Dante – «sa di sale». Pensiamo alle donne di cultura e alle giornaliste di oggi, le poche – o tante? – che rischiano qualsiasi sanzione pur di non tenere la bocca chiusa dinanzi alla verità.

22 novembre 2024