La salma di Vittorio Emanuele III rientra in Italia ma non cambia il giudizio storico e politico

Il re lasciò fare al duce: la marcia su Roma, il colpo di Stato dopo il delitto Matteotti; e poi la guerra d’Africa, le sanzioni, le leggi razziali e la guerra. Prima ancora aveva accettato, o voluto, la prima guerra mondiale

Ora continueranno a guardarsi, da un capo all’altro della pianura. Vittorio Emanuele nel santuario barocco di Vicoforte; e il suo più tenace e intelligente avversario, l’uomo di quell’altra Italia, a Cavour, nella tomba di famiglia. Giovanni Giolitti, l’unico di cui Mussolini aveva davvero paura (così si dice), avrebbe fatto tutto il contrario di quanto invece Vittorio Emanuele lasciò fare al duce: la marcia su Roma, il colpo di Stato del 1925 dopo il delitto Matteotti; e poi la guerra d’Africa, le sanzioni, le infami leggi razziali e infine la guerra mondiale. Ma prima ancora il Savoia aveva accettato – o voluto – la madre di tutte le tragedie, la prima guerra mondiale, da cui l’Italia di Giolitti sarebbe rimasta sicuramente fuori (senza per questo santificare l’uomo di Dronero: lui aveva fatto la guerra di Libia, la sua politica era cinica e compromissoria; ma aveva il senso dello Stato, e una precisa visione del ruolo dell’Italia nell’Europa del suo tempo).

Il ritorno in Italia della salma del re e della regina Elena si deve alla lungimiranza politica, e alla “misericordia”, umana e cristiana, del presidente della Repubblica, e sta nel segno della riconciliazione, dopo 70 anni. Ma ovviamente non cambia nulla del giudizio storico e politico su un re che è stato comunque alla testa del Paese nel lungo trafficato periodo della prima metà del ’900. Anche perché le scelte che fece direttamente dopo il 25 luglio (quando colse l’opportunità di liberarsi di Mussolini) sono forse ancora più drammatiche: nessun altro Paese al mondo ha avuto l’8 settembre 1943, la guerra civile e la fuga da Brindisi. In tempi recenti l’unico che tentò di scappare fu Luigi XVI di Francia: ma venne riacciuffato, come si sa, a Varennes. Ancor più pesa l’ultimo periodo: malgrado tutto Vittorio Emanuele non abdicò fino al 9 maggio 1946, quasi mille giorni dopo l’8 settembre, lasciando al figlio di gestire solo la fine della monarchia.

Dibattere sulla “memoria” e sul destino d’Italia partendo dalla figura e dal giudizio storico su Vittorio Emanuele III sarebbe, più che perverso, inutile: dopo il cambiamento della Costituzione nel 2002 il problema delle sepolture di Casa Savoia è più una questione di famiglia che un affare di Stato; e come tale è stato gestito con intelligenza e sensibilità da Maria Gabriella. Anche se, evidentemente, la tumulazione del re al Pantheon è fuori discussione. E Vicoforte rimane una soluzione migliore della basilica torinese di Superga, che accoglie soprattutto sepolture dei rami cadetti di Casa Savoia, anche se c’è, notevole eccezione, la tomba di Carlo Alberto.

Certo, da un capo all’altro della pianura il re e Giolitti continueranno a “guardarsi”: diffidando reciprocamente, e continuando, forse, a non capirsi. (Marco Bonatti)

19 dicembre 2017