La rivoluzione pacifica del Libano, alla ricerca di un riscatto

Dedicato al Paese dei Cedri il primo appuntamento della Scuola di educazione alla pace e alla mondialità della Caritas, con Riccardo Cristiano

Sciiti, sunniti e cristiani insieme contro la corruzione politica che ha messo in ginocchio la popolazione libanese. Uniti al di là dell’appartenenza religiosa e culturale contro il governo. È questa la grande novità della mobilitazione che da oltre 20 giorni vede le strade del Paese dei Cedri invase da giovani, anziani, famiglie, donne appartenenti a varie comunità religiose di uno Stato che annovera 18 diverse confessioni. Su questo si è soffermato ieri sera, martedì 12 novembre, Riccardo Cristiano, giornalista vaticanista già coordinatore dell’informazione religiosa di Radio Rai e fondatore dell’associazione Giornalisti amici di padre Dall’Oglio. Intervenendo al primo appuntamento del nuovo anno della Scuola di educazione alla pace e alla mondialità, promossa dal 2007 dalla Caritas diocesana, alla Cittadella della Carità, il giornalista ha tenuto una conferenza su “Libano. Le ragioni di una crisi”.

Cristiano ha spiegato come il desiderio di riscatto e di cittadinanza auspicato dal documento sulla “Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, firmato da Papa Francesco e dal grande imam di Al-Azhar Ahamad al-Tayyib il 4 febbraio scorso ad Abu Dhabi, rappresentano la vera novità di una rivoluzione assolutamente pacifica già passata alla storia come “la rivoluzione di Whatsapp”. La proposta del ministero delle Telecomunicazioni della tassa sull’applicazione di messaggistica istantanea è stata però soltanto l’ultima goccia. «La popolazione protesta contro un sistema politicamente malato – ha spiegato il giornalista, il cui intervento è stato introdotto da Oliviero Bettinelli, responsabile dell’Area Educazione alla pace e alla mondialità della Caritas -. I cittadini sono scesi in piazza contro le mafie istituzionali che hanno prodotto disastri culturali e dissesti economici spaventosi, da imputare solo alle cavallette della politica che hanno succhiato il sangue del Libano e non all’afflusso dei rifugiati siriani».

Poco più esteso delle Marche, con circa 5 milioni di abitanti, il Libano è un Paese tormentato dagli attentati, dalle guerre, da uno Stato che non è in grado di garantire a tutti l’approvvigionamento dell’energia elettrica e adeguate infrastrutture e che ospita circa un milione e mezzo di rifugiati siriani. Se da un lato è un Paese moderno, dall’altro «è fermo ad un sistema feudale dove la parola più importante è “raccomandazione” – ha aggiunto Cristiano -. Dal feudalesimo si esce solo se si passa ad un sistema di cittadinanza capace di pensare al bene comune non in termini religiosi ma di unione». Importante quindi anche il contributo dei cristiani, che, per il giornalista, devono continuare a partecipare alle iniziative di protesta, «devono stare dentro le mobilitazioni nell’ottica di una condivisione comune. Possono aiutare a far comprendere che è possibile superare il fondamentalismo religioso così come è possibile una convivenza pacifica».

Dopo aver ripercorso brevemente la storia del Libano moderno, nato ufficialmente nel 1920, Riccardo Cristiano è giunto ai giorni nostri e alle «coraggiose» dimissioni del premier Saad Hariri che ha lasciato il suo incarico il 29 ottobre scorso. A capo di un governo formato anche da esponenti degli Hezbollah filo-iraniani, «ha dato ascolto al popolo. Nessun politico gli aveva chiesto di dimettersi, lo voleva solo la popolazione e il suo coraggio – ha affermato Cristiano – è stato quello di negare l’ultima copertura a chi è pronto a scatenare la guerra civile pur di non far insediare un governo tecnico. Io ritengo che la classe tecnica ci sia, manca quella politica. Credo che ora la partita sia in mano ai militari perché se l’esercito decide di affiancare i tecnici può ricominciare un processo di riscrittura della storia del Paese con nuovi apparati e nuovi dirigenti».

13 novembre 2019