La rete della Chiesa in Siria e Iraq

Raccolti nel 2017 286 milioni di dollari. Istruzione, sanità e supporto psico-sociale le priorità di intervento. Parolin: «Negoziato per una soluzione pacifica e duratura». Il nunzio Zenari: rispetto del diritto umanitario internazionale

Ong cattoliche, diocesi, congregazioni religiose e istituzioni ecclesiali. Una rete ad ampio spettro, che solo nel 2017 ha raccolto 286 milioni di dollari per fare fronte alla crisi umanitaria in Siria e Iraq. Se ne è parlato ieri, 13 settembre, nella giornata di apertura della due giorni organizzata dal dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale all’Università Urbaniana, che si conclude oggi, dedicata proprio alla “Crisi umanitaria in Siria e Iraq”. Al centro, l’indagine realizzata dal dicastero, alla sua terza edizione, per ottenere un quadro complessivo unitario della risposta della rete ecclesiale alla crisi umanitaria siriana e irachena e di identificare linee comuni di riflessione e orientamenti condivisi di azione per il prossimo futuro. Sette, in tutto i Paesi coperti: Siria, Iraq, Libano, Giordania, Turchia, Egitto e Cipro. In campo, 84 istituzioni ecclesiali: 53 agenzie caritative d’ispirazione cattolica, 10 diocesi di Siria e Iraq e 21 istituti religiosi operanti in Siria, Iraq, Libano e Giordania. 4,6 milioni i beneficiari raggiunti. Numeri che raccontano di un impegno della Chiesa non solo costante ma «consolidato e rafforzato negli anni – si legge nel testo -, adattandosi ai cambiamenti contestuali».

Tra i settori prioritari di intervento in testa c’è l’istruzione; seguono l’aiuto alimentare, la sanità ma anche tutte quelle le attività atte a fornire e rafforzare mezzi di sussistenza alle famiglie: attività generatrici di reddito, formazione professionale, creazione di opportunità lavorative, al sostegno per gli affitti e la riabilitazione delle case – soprattutto in Iraq – e al supporto psicosociale e alla protezione legale, in particolare in Libano. Progressivamente in calo, nei primi sei mesi del 2018, la risposta di tipo emergenziale, mentre si rafforza il lavoro sui programmi di resilienza, «con uno sguardo ad azioni di maggiore impatto nel medio-lungo termine». In Iraq, ad esempio, diventa centrale il fenomeno dei ritorni volontari nella Piana di Ninive, «dove si concentrano gli aiuti della Chiesa nel Paese». Secondo le informazioni raccolte, comunque, nel 2018 la rete ecclesiale ha mobilitato circa 230 milioni di dollari e raggiunto 3,9 milioni di beneficiari. Complessivamente dal 2014 per la risposta alla crisi è stato mobilitato più di 1 miliardo di dollari attingendo a fonti di finanziamento pubbliche (fondi governativi e delle istituzioni internazionali) e private (donazioni, fondazioni, fondi della Chiesa cattolica).

Nella foto, lavori di ricostruzione nella chiesa di San Giorgio, nella Piana di Ninive (Iraq)

«La sfida maggiore – si legge nel testo – è rappresentata oggi dalla risposta a un sempre maggiore bisogno di stabilità per il futuro delle famiglie, attraverso programmi di sviluppo agricolo-economico, di rilancio del tessuto sociale ed economico, di formazione professionale, di avvio di attività lavorative». Centrale anche «il rafforzamento di capacità degli attori locali» così come l’aiuto ai rifugiati nei Paesi limitrofi alla Siria, anche se uno degli «ambiti prioritari» su cui si focalizzerà l’azione della Chiesa nei prossimi anni è il ritorno nelle comunità di origine. Un fenomeno, quest’ultimo, che riguarda prevalentemente l’Iraq e la piana di Ninive  – dove la maggior parte di coloro che fanno ritorno sono famiglie cristiane -, mentre è più limitato in Siria. L’attenzione specifica ai bisogni delle comunità cristiane e al loro futuro nella regione mediorientale, così come ai loro bisogni materiali, spirituali e pastorali, costituisce, è ribadito nell’indagine, «un elemento peculiare per la Chiesa, sia a livello di azioni in loco che di sensibilizzazione a livello locale e internazionale».

Puntato verso la prospettiva della ricostruzione anche lo sguardo del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano. «Papa Francesco continuerà a ripetere i suoi appelli per la pace perché siamo convinti che solo con la strada del dialogo e del negoziato si potrà arrivare ad una soluzione pacifica e duratura – ha detto il porporato -. Bisogna insistere perché questi concetti vengano recepiti. In Siria dopo tanti anni di guerra non è facile ricominciare ma ci sono premesse positive da valorizzare per una soluzione negoziata e pacifica e verso la ricostruzione». Una soluzione che garantisca anche «condizioni favorevoli di sicurezza» per il rientro dei tanti cristiani fuggiti dalle loro case. «Tutti gli abitanti del Paese prima di appartenere ad un gruppo etnico o religioso sono cittadini a pieno titolo con eguali diritti e doveri e devono contribuire al bene del proprio Paese – ha ribadito Parolin -. Nel momento in cui in Siria prenderà avvio il cammino verso una nuova Costituzione la speranza è che i cristiani possano dare il loro contributo soprattutto nel campo della libertà religiosa che ci sta a cuore». Quindi, allargando l’orizzonte a tutto il Medio Oriente il segretario di Stato ha ricordato che «in questa regione i problemi sono globali e la soluzione deve essere globale. Questo vale anche per il conflitto israelo-palestinese la cui soluzione contribuirà in maniera determinante anche alla soluzione dei problemi della regione».

A fare il punto sulla situazione in Siria – dove si prepara lo “scontro finale” nella zona di Idlib, ultima roccaforte dei ribelli – è intervenuto il nunzio apostolico Mario Zenari. Il conflitto terminerà, ha affermato il cardinale, «quando finirà la guerra in seno al Consiglio di Sicurezza dove abbiamo visto tanti scontri». Al momento «c’è grande apprensione per Idlib. Speriamo che con l’aiuto della comunità internazionale si arrivi a trovare una soluzione. Il Papa – ha ricordato Zenari – due settimane fa ha lanciato un appello al rispetto del diritto umanitario internazionale, alla protezione dei civili, circa tre i milioni, tra loro anche un milione di bambini. Bisogna fare qualcosa per questa gente. Non possiamo permettere che la situazione scappi di mano». Non mancano «segnali di rinascita»: il nunzio ha riferito che «in molte zone del Paese non si combatte più. A Damasco si può andare in strada, i bambini possono tornare a scuola, anche ad Aleppo». Resta tuttavia«la bomba della povertà pronta a esplodere e che riguarda il 70% della gente. Mancano fabbriche, il 54% delle istituzioni sanitarie sono chiuse o parzialmente funzionanti. Ci sono ancora tre milioni di bambini che non possono rientrare a scuola».

Da ultimo Zenari ha posto l’attenzione sui «cinque milioni e mezzo di rifugiati nei Paesi vicini e sui sei milioni di sfollati interni: occupiamoci dei tanti rifugiati, l’Europa ha il dovere di aiutarli, ma non dimentichiamo quelli che restano in fondo al mare». I «pesci piccoli – li ha definiti il nunzio -, quelli che le reti di salvataggio non riescono ad agganciare. Sono quelli che non hanno dove andare, non hanno voce, non hanno possibilità di farcela». Innegabile la presenza del terrorismo: «C’è, nessuno lo nega. Ogni Stato ha diritto di pulire la propria casa ma c’è anche un diritto internazionale da rispettare per salvare milioni di civili e centinaia di migliaia di bambini. Dieci anni fa quando sono arrivato – ha concluso il cardinale – era un’altra Siria. Nessuno poteva immaginare quello che sarebbe successo. Un conflitto che ha sorpreso tutti quanti con mezzo milione di morti, un milione e mezzo di feriti, metà della popolazioni fuori delle proprie case, sei milioni di sfollati interni e cinque milioni e mezzo di rifugiati nei Paesi vicini. Una catastrofe che non è ancora finita, purtroppo».

14 settembre 2018