La proposta di Clemantine: «Coinvolgere i rifugiati nell’accoglienza»

La donna, intervenuta alla Lumsa, ha vissuto la guerra civile in Ruanda. Ora vive negli Stati Uniti. Il viceprefetto Leone: «A Roma 9mila rifugiati»

La donna, intervenuta alla Lumsa, ha vissuto la guerra civile in Ruanda. Ora vive negli Stati Uniti. Il viceprefetto Leone: «A Roma 9mila rifugiati» 

«Coinvolgiamo gli stessi rifugiati nell’accoglienza, permettiamo loro di accogliere chi sbarca in questo Paese. Loro sanno cosa vuol dire, come ci si sente». Questo l’invito di Clemantine Wamariya, storyteller e attivista per i diritti umani, lanciato davanti a un folto gruppo di rifugiati presenti a Roma. Lei stessa è stata costretta a fuggire dalla guerra civile in Ruanda salvandosi dal genocidio ad appena sei anni. Dopo aver trascorso 8 anni nei campi profughi africani, adesso vive negli Stati Uniti ed è diventata famosa nel 2006 per aver raccontato la sua storia alla conduttrice televisiva Oprah Winfrey.

Giovedì 4 maggio è intervenuta
alla Libera Università Maria Santissima Assunta (Lumsa) di fronte agli studenti e ad alcune decine di ragazzi rifugiati accolti dalla Croce Rossa, che ha organizzato l’evento insieme all’ateneo e all’Ambasciata statunitense. «No please», “no per favore”, dice Clemantine ai fotografi che le bloccano la visuale mentre parla: «Siete la platea più bella che io abbia mai avuto», dice ancora guardando i rifugiati. Il viceprefetto, Roberto Leone, intervenendo dopo il rettore Francesco Bonini e la presidente della Cri di Roma, Debora Diodati, ha aggiornato a «9 mila il numero di ragazzi rifugiati presenti nella provincia di Roma».

Clemantine adesso ha 29 anni ma ricorda esattamente cosa vuol dire: «Christine, Claire, Justine». Tre donne, ha raccontato, le hanno permesso di sopravvivere: sua madre, sua sorella e la sua seconda madre: «Avevo 6 anni e una famiglia fantastica quando sono dovuta fuggire. Non sapevo nulla della guerra e mi sono ritrovata in un campo profughi con mia sorella, Claire, con pioggia, freddo e terremoti». Sua sorella ha continuato a darle forza: «Ogni giorno continuava a urlare che non si poteva vivere così. Raccoglieva i morti e li portava in una fossa, vicino ai bagni. Non c’è nulla di giusto in tutto questo. Con lei riuscì a fuggire in Congo dove conobbe Justine, la sua seconda madre: «Si svegliava e pregava ogni giorno, pregava per ogni persona nel mondo, ogni singolo giorno». Ma lì le colse di nuovo la guerra.

Diodati, presidente Cri, ha voluto
proiettare delle interviste a delle donne eritree nei centri. Durante i viaggi sono state vendute più volte: «Siamo vittime di violenza. Spesso tagliamo i nostri capelli per essere meno attraenti» racconta una di loro. «Rispettiamo le donne! – ha ribadito con forza Clemantine – Dovunque. Loro tengono in grembo i figli, fanno crescere questo mondo». Christian, un ragazzo scappato dalla Sierra Leone, ha voluto ringraziarla: «Rifletti ciò che noi abbiamo vissuto nei nostri Paesi», ha detto, e l’ha esortata: «continua a ispirare le donne, continua a ispirare le persone». La speranza, ha risposto Clementine, «è un duro lavoro».

«Sto guardando i miei fratelli e le mie sorelle, dobbiamo prenderci cura gli uni degli altri, perché altre persone utilizzano le nostre guerre, i nostri traumi. Per trarne profitto», ha affermato l’attivista. «Da dove vengono le armi? Chi ci guadagna?», ha continuato guardando i presenti. A un tratto ha alzato la voce: «Europa, Africa, Asia, smettetela di rubare dall’Africa, smettetela di rubarci la vita». Ha indicato poi i rifugiati presenti in sala: «Queste persone non sono la vostra beneficenza, non sono business, sono persone che sono dovute fuggire per trovare una casa, un lavoro». Ognuno è parte della guerra, «e per noi va bene tutto questo? Certo che no, nessun essere umano può vivere così». Sua madre, ha raccontato, le ha insegnato a condividere tutto: «fatemi sapere se venite nel nostro Paese, e vi farò vedere come condividiamo e come amiamo», e guardando la platea ha scandito: «Vi amo tutti».

 

5 maggio 2017