La preghiera per i sacerdoti e i diaconi della diocesi morti nell’anno

La Messa di suffragio nella basilica lateranense con il vicario Reina. «Hanno servito la Chiesa con generosità. A loro va il grazie della comunità ecclesiale di Roma»

Sono stati 23 i sacerdoti e 5 i diaconi della diocesi di Roma morti in questo anno. Il più grande era padre Egidio Picucci, dell’ordine dei frati Minori cappuccini, morto a 95 anni. Il più giovane padre Michele Botto Steglia, rosminiano, morto martedì 26 novembre a soli 47 anni. Tra i diaconi il più giovane era Sergio Della Lena, morto ad agosto a 66 anni. Era stato ordinato diacono da pochi mesi nella Messa celebrata nella cappella del policlinico Campus Bio medico, dopo aver ricevuto la dispensa da Papa Francesco. Il più grande era invece Gianpaolo Pertici, 87 anni, diacono per 38 anni. Uomini che «hanno servito la Chiesa con generosità» ai quali va il «grazie» della diocesi di Roma.

Nella Messa in suffragio celebrata venerdì sera, 29 novembre, la comunità ecclesiale li ha affidati alla «misericordia di Dio» riconoscendone «il servizio svolto, le fatiche e i sacrifici». La liturgia nella basilica di San Giovanni Laterano è stata presieduta dal vicario Baldo Reina. Tra i concelebranti il vicegerente della diocesi di Roma Renato Tarantelli e i vescovi Michele Di Tolve, Daniele Salera, Guerino Di Tora, Luca Brandolini.

Nella prima lettura, tratta dal Libro dell’Apocalisse, l’apostolo Giovanni descrive il giudizio finale. «Il momento del giudizio è un momento al quale dobbiamo pensare – ha affermato il vicario -. Era uno dei pilastri della catechesi di un tempo che probabilmente merita di essere ancora una volta ribadito». Il giudizio, ha avvertito, non deve essere vissuto con «paura» perché «il giudizio di Dio è secondo verità, giustizia, misericordia». L’essere consapevoli che saremo giudicati però ci sollecita a vivere in preparazione di quel momento, «all’insegna della carità». La vita di ogni fedele deve conformarsi al Vangelo e agli insegnamenti di Cristo, è quindi «un esercizio di ascesi quotidiano. Su alcune cose siamo più facilitati dal nostro carattere – ha proseguito Reina -, da alcune prassi che abbiamo acquisito nel tempo, su altre facciamo un po’ più di fatica. È un lavorio quotidiano. Pensiamo al momento in cui saremo giudicati e proviamo a portare la nostra vita dentro questa dimensione del giudizio».

Nel Vangelo di Luca, invece, Gesù usa come metafora l’albero del fico per indicare come riconoscere i segni dei tempi. Il momento in cui spunta un nuovo germoglio, ha spiegato l’arcivescovo nell’omelia, «è doloroso per la pianta perché c’è qualcosa che si taglia all’interno del tronco, del ramo». Una ferita che è immagine evocativa della morte. «Nessuno vorrebbe lasciare la vita terrena e le persone care», le parole del vicario. La morte genera infinita sofferenza ma spesso, ha riflettuto, ci si ferma a questa, «a vedere la ferita e non i germogli. Gesù invita a vedere come quella ferita è necessaria perché sbocci il germoglio. La vita è un continuo confronto con le ferite, tagli piccoli o grandi, profondi o in superficie. Gesù ci dice di guardare i germogli». Pensando ai sacerdoti e ai diaconi che si sono spesi per la diocesi, il presule ha invitato a pensare ai frutti del loro impegno nelle comunità che hanno servito durante il ministero. «Prepariamoci alla vita eterna attraverso il giudizio, che diventa il confronto quotidiano con quanto il Signore ci chiede – ha affermato -; attraverso questa visione attenta della nostra vita che sa coniugare la ferita, la sofferenza, la morte e il germoglio della speranza».

2 dicembre 2024