La potenza delle storie e il senso delle grandi parole

Un’esperienza a scuola con i ragazzi a partire dalla lettura della novella di Giovanni Verga “Rosso Malpelo” e dall’artificio “dello straniamento”

«Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone». Inizia così la novella di Giovanni Verga che più o meno tutti abbiamo letto e che ancora, per fortuna, si continua a leggere a scuola. Nel mio caso proprio la scorsa settimana con la mia classe quinta e, come sempre capita con le grandi pagine della letteratura, qualcosa, per l’ennesima volta, è successo.

L’attacco della novella è da manuale, nel senso che apparecchia già in due righe uno degli aspetti più importanti e suggestivi di questo capolavoro, quello che con una bellissima formulazione teorica viene definito «artificio dello straniamento». Verga sceglie di fare regredire il punto di vista di chi racconta a quello di un narratore popolare e ignorante, quindi per quel narratore è pacifico che un ragazzino sia cattivo e destinato a diventare un delinquente perché ha i capelli rossi e viceversa. La voce popolare rende insomma normale ciò che è strano e assurdo, mentre ovviamente il lettore non può che percepire come strano e assurdo ciò che viene mostrato come normale.

La questione è ben adatta a essere portata in classe ma soprattutto è un privilegio poterlo fare e in effetti anche la scorsa settimana è stato sufficiente limitarmi a mettere in cattedra i capelli rossi e la presunta cattiveria di Malpelo, alimentare un po’ il fuoco della controversia e assistere infine al piccolo miracolo della classe che interpreta o, come direbbe felicemente un altro maestro, che si fa «comunità ermeneutica». In un’ora sono così risuonati tra i banchi la voce del popolo di un tempo, lo stigma e il tema del diverso, l’assurdo del giudizio apodittico e lo stereotipo, il potere della letteratura di farci uscire dall’automatismo della percezione e il censimento dei nuovi Malpelo, la voce del popolo di oggi, insomma: la possibilità e la necessità della complessità. Delle parole dei ragazzi e delle ragazze riporto almeno l’affermazione di una studentessa che a un certo punto ha esclamato (cito a memoria) «sì, ma oggi non si “stranisce” più nessuno», al che una compagna le ha risposto (cito a memoria) «e infatti quello è il problema, non si “stranisce” più nessuno, si può dire ogni cosa, tutto va bene, l’altro è scemo e quindi è un problema». Ne abbiamo discusso e concluso insieme che se quello dello straniamento è un potente mezzo conoscitivo che ci fornisce la letteratura, allora sì che vale la pena leggere certe storie, studiare certi autori, fare spazio a immaginari per niente lontani per quanto distanti.

Mi verrebbe infine abbastanza facile dire perché ho continuato a pensare al potere d’innesco di quell’incipit, a quanto continuino ad avere senso le grandi parole, le grandi storie, le grandi idee quando a scuola arriva il loro turno (sì, il programma, il vecchissimo, abolito e salutare programma). Vorrei anche dire di come in un tempo in cui, anche per chi si occupa di scuola, sembrerebbe opportuno se non uccidere, almeno fare inginocchiare i giganti, sia salutare sentirsi felicemente dalla parte dei nani che godono di una bellissima vista dall’alto. Ma forse, se lo facessi, sarei proprio io quello che non ha imparato la lezione.

13 ottobre 2021