La misericordia di Dio e il dono della fede ai padri

Gesù guarisce il giovane posseduto da uno spirito muto. E lo restituisce così alla relazione vera con suo padre, che viene guarito dalla sua onnipotenza impotente

Gesù guarisce il giovane posseduto da uno spirito muto. E lo restituisce così  alla relazione vera con suo padre, che viene guarito dalla sua onnipotenza impotente

Dal Vangelo secondo Marco, capitolo 9:
14
 E giunti presso i discepoli, li videro circondati da molta folla e da scribi che discutevano con loro. 15 Tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo. 16 Ed egli li interrogò: «Di che cosa discutete con loro?». 17 Gli rispose uno della folla: «Maestro, ho portato da te mio figlio, posseduto da uno spirito muto. 18 Quando lo afferra, lo getta al suolo ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti». 19 Egli allora in risposta, disse loro: «O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me». 20 E glielo portarono. Alla vista di Gesù lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava spumando. 21 Gesù interrogò il padre: «Da quanto tempo gli accade questo?». Ed egli rispose: «Dall’infanzia; 22 anzi, spesso lo ha buttato persino nel fuoco e nell’acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». 23 Gesù gli disse: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede». 24 Il padre del fanciullo rispose ad alta voce: «Credo, aiutami nella mia incredulità». 25 Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito immondo dicendo: «Spirito muto e sordo, io te l’ordino, esci da lui e non vi rientrare più». 26 E gridando e scuotendolo fortemente, se ne uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: «È morto». 27 Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi.
28 Entrò poi in una casa e i discepoli gli chiesero in privato: «Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?». 29 Ed egli disse loro: «Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera».

Quando siamo bambini i nostri papà e le nostre mamme sono figure gigantesche: sanno tutto, possono tutto, sono in grado di proteggerci da ogni pericolo e ci aiutano a superare ogni ostacolo. Sotto i loro occhi cresciamo in un clima di fiducia, sapendo che possiamo avventurarci da soli “fuori” perché in ogni momento possiamo ritornare “dentro” il raggio rassicurante di quello sguardo. I nostri primi passi, fatti in questa autonomia protetta, sono molto importanti: nascono da una radice buona, da un desiderio santo di crescere, potremmo dire, di realizzare noi stessi. La spinta vitale che anima dall’interno la vita di un bambino e di un’adolescente, custodita e alimentata con amore dai genitori, lo spinge ad esprimersi e ad affermarsi con una sicurezza sempre più grande. Siamo frecce scagliate dalla loro mano. Le potenzialità straordinarie, che in noi si combinano in maniera unica, emergono man mano durante la crescita, rendendoci sempre più solidi sulle nostre gambe, capaci di fiducia in noi stessi, convinti di saper affrontare il passaggio successivo o il tratto di strada più faticoso. Un bambino passa dalla convinzione nell’onnipotenza del suo papà e della sua mamma alla fiducia adolescenziale che in fondo a lui tutto è possibile.

Ma il papà di cui parla questo brano del Vangelo non ha provato la gioia di vedere questo processo nella vita del figlio. Fin dall’infanzia una forza oscura presente nelle sue membra gli ha impedito ogni possibilità di esprimersi, di udire bene e di comunicare e lo ha irrigidito. La conseguenza è che il figlio, divenuto ragazzo, non si è mai allontanato dal padre (in fondo è lui la sua voce, come si vede anche in questo brano), non ha mai fatto nessun vero passo in avanti. Le convulsioni nascono da una parola che non riesce a venir fuori, da un sentimento che non si manifesta in maniera controllata e che dilaga in mille sconquassamenti del corpo. I denti digrignano, la bocca schiuma… c’è un’enorme forza vitale, sana e buona, che è bloccata dal demonio sordo e muto e che produce di conseguenza un’impotenza inutilmente rabbiosa.

Ma non è solo il figlio a provare questo senso di impotenza: anche il padre sente di non poter far nulla, di avere un nemico che il suo amore paterno non può vincere. Il sentimento che abita il suo cuore, a differenza del cuore del figlio, non è la rabbia ma una profonda tristezza, come si intuisce dal dialogo con Gesù. Eppure tristezza non significa rassegnazione: prende l’iniziativa e si rivolge prima ai discepoli, poi, visto l’insuccesso di questi, direttamente al Maestro, appena disceso dal monte della trasfigurazione. Cosa lo spinge a cercare aiuto? Questo papà forse sta intuendo che la relazione costruita nel tempo con suo figlio (io sono la tua voce, dico le parole che tu non puoi dire) alla lunga non può funzionare: è il figlio che deve essere il protagonista della sua esistenza, deve poter udire con le sue orecchie, parlare con la sua voce per dire le sue parole. Il dinamismo presente nel corpo del figlio deve poter trovare una via di uscita, un canale di espressione. Alla lunga questa forza repressa sta diventando negativa e diabolica (diavolo è colui che divide): il figlio fa del male a se stesso, e il passo successivo, si intuisce, potrebbe essere quello del rifiuto del padre, “colpevole” in fondo di averlo messo al mondo muto e sordo…

«Se tu puoi qualcosa, aiutaci». È il desiderio sommesso di questo papà. Salva la nostra relazione, salva prima di tutto mio figlio dal male che fa a sé stesso….

«Se tu puoi qualcosa! Tutto è possibile per chi crede». La misericordia di Gesù desidera prima di tutto guarire questo padre. Per questo lo provoca: deve abbandonare il suo triste senso di impotenza e ritrovare la fiducia nella potenza del Dio della vita. Non è lui che può guarire suo figlio, ma Dio sì, basta soltanto che il padre faccia un passo indietro e permetta a Gesù di agire. A lui è chiesto di avere fiducia non nella potenza propria ma in quella di Dio. E questo richiede una profonda conversione del cuore.

«Credo, aiutami nella mia incredulità». È la professione di fede più bella del Vangelo, più bella perché la più sofferta. La fede qui è davvero accolta come un dono fatto da Dio. Nasce dal riconoscimento del proprio non-sapere e non-potere e dalla consapevolezza di aver incontrato in Gesù colui che può aiutarci a ritrovare la fiducia in Dio. Non sei tu, Signore Gesù, che ci hai parlato della tenerezza paterna di Dio? Non ci hai rivelato che Dio ha un grembo materno, capace di generare la vita dei suoi figli? Non ci hai insegnato il suo perdono e comunicato la forza che viene da lui? Allora, sostienimi in questo momento in cui tutto quello che posso fare come padre è inutile… vieni in aiuto alla mia debolezza, alla povertà della mia fiducia nel Padre del cielo!

Il linguaggio usato per descrivere il miracolo della guarigione è lo stesso utilizzato per parlare della risurrezione di Gesù. Come per alludere al fatto che la guarigione del figlio sia stato un misterioso morire e rinascere, per essere liberato dal diavolo muto e sordo, e rialzarsi in piedi capace di esprimersi e comunicare con gli altri. Gesù restituisce così il figlio alla relazione vera con suo padre, e il padre è guarito dalla sua onnipotenza impotente. In un certo senso anche egli è morto e risuscitato: ora è un padre che conosce il suo limite e può narrare la misericordia di Dio.

E i discepoli? «Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?». Ancora una volta i discepoli si mettono stupidamente al centro della scena, nel posto del protagonista … pronunciano questo “perché noi no?” rivelando così di essere tra coloro che pretendono di avere il potere di fare miracoli e di risolvere i problemi delle persone. Questi discepoli sono i rappresentanti di una Chiesa che ha perso la consapevolezza del proprio dipendere totalmente da Gesù (per cui il primato va alla preghiera) e il cui sguardo si è appiattito solo su di sé. Come se il segreto della fede non fosse la misericordia di Dio incontrata in Gesù ma piuttosto il potere degli uomini. Come se la fede un po’ confusa e incostante delle persone, dei papà e delle mamme di oggi, fosse da condannare come qualcosa di colpevole e non invece da sostenere, con la testimonianza della misericordia di Dio e con la preghiera che intercede per il dono dello Spirito. In fondo, le dure parole di Gesù – «o generazione incredula, fino a quando dovrò sopportarvi?» – si comprendono molto meglio se rivolte a questi discepoli preoccupati del loro potere che se applicate al papà che dubita.

6 settembre 2016