La liberazione di Mosul, «segno di speranza»

L’arcivescovo siro-cattolico Petros Mouche commenta l’offensiva dell’esercito iracheno per riprendere il controllo della seconda città dell’Iraq

La «riconciliazione nazionale, possibile solo sotto un governo iracheno unito e forte». Per l’arcivescovo siro-cattolico di Mosul, Kirkuk e del Kurdistan Petros Mouche è questa la priorità che dovrà seguire la liberazione della città di Mosul da parte dell’esercito iracheno. La speranza è che le operazioni procedano «in maniera spedita». La riconquista della città, in mano allo Stato islamico dal giugno del 2014, è per i cristiani iracheni «un grande segno di speranza. Desideriamo ritornare nelle nostre case e riavere i nostri beni, a Mosul come nei villaggi della Piana di Ninive – riferisce l’arcivescovo -. Amiamo la nostra terra e vogliamo testimoniarlo con la nostra presenza ma è necessario che venga garantita la nostra sicurezza e quella degli altri abitanti. È importante avere la possibilità di vivere in sicurezza con gli altri in rispetto e dignità».

Il pensiero del presule va al dopo liberazione. «Non sappiamo – afferma – cosa vogliono fare del nostro Paese, ma esso deve essere preservato nella sua unità. Vogliamo un Iraq unito dove tutti, sciiti, sunniti, cristiani e credenti di altre fedi vivano insieme nel rispetto e nella tolleranza. Da parte nostra ricercheremo dialogo e riconciliazione con tutti». Una posizione, quella dell’arcivescovo, analoga a quella del patriarca di Babilonia dei Caldei e presidente della Conferenza episcopale irachena Louis Raphael Sako, che proprio nel giorno di inizio dell’offensiva governativa invitava tutti gli iracheni a «mettere il bene comune del Paese e di tutti gli iracheni prima e al di sopra di ogni altra cosa». L’arcivescovo siro-cattolico aggiunge: «Non vogliamo vendette tra i musulmani, sciiti e sunniti in particolare, né contro le minoranze».

19 ottobre 2016