Mosul è la seconda città irachena strappata ai miliziani dello Stato islamico dall’esercito regolare, dopo una battaglia durata 9 mesi. Sul terreno, restano le macerie, insieme a migliaia di persone senza casa. L’arcivescovo siro-cattolico di Mosul, Kirkuk e del Kurdisant Petros Mouche non ha dubbi: parla di «una bella notizia che assume un grande valore per il futuro del nostro Paese. Sto rientrando da Mosul – riferisce – dove ho incontrato il primo ministro iracheno Haidar al Abadi. Nel nostro colloquio abbiamo affrontato diversi punti tra cui come favorire il rientro dei cristiani, come garantire la sicurezza e offrire il necessario supporto per i bisogni della popolazione, a cominciare dall’acqua per finire alle scuole».

Nelle parole del presule, ancora «difficile», per il momento, il rientro della popolazione, non solo cristiana: «Ci vorrà del tempo», afferma. Del tutto diversa invece la situazione nei villaggi cristiani della piana di Ninive, dove i rientri sono già cominciati. «L’altro ieri a Qaraqosh sono tornate 320 famiglie – afferma monsignor Mouche -; ce ne sono delle altre in attesa perché hanno i bambini che aspettano la fine delle lezioni a Erbil, dove sono riparate dopo l’invasione dello Stato islamico nel 2014».

10 luglio 2017