La Divina Commedia in scena al Brancaccio

Fino al 25 febbraio le repliche dell’edizione 2024. Un viaggio tra diversi generi musicali. Tra le novità, i 12 ballerini acrobati e la voce narrante di Giancarlo Giannini

«L’Inferno come consapevolezza della propria miseria, il Purgatorio come ansia di cambiare e il Paradiso come stupore di ciò che possiamo essere». Per monsignor Marco Frisina, noto compositore, questa potrebbe essere la sintesi del poema dantesco. Un’opera che «mostra la fede in poesia in maniera sublime» e che lui stesso, diciassette anni fa, ha musicato, dando vita a “La Divina Commedia opera musical”, insieme al regista Andrea Ortis, che con don Gianmario Pagano ha curato anche i testi.

Un vero e proprio kolossal che nelle passate stagioni ha incantato i principali teatri italiani con ripetuti sold out, ricevendo anche la Medaglia d’oro dalla Società Dante Alighieri. Fino al 25 febbraio sarà in scena al Teatro Brancaccio di Roma, poi all’Alfieri di Torino e infine al Politeama di Catanzaro. L’edizione 2024 presenta numerose novità, come gli effetti tecnologici di luci e proiezioni di ultima generazione che dipingono la scena con settanta quadri in 3D in continuo mutamento, la nuova voce narrante di Giancarlo Giannini – il Dante adulto che ricorda sé stesso e aiuta gli spettatori a orientarsi nella storia -, i dodici ballerini acrobati e gli oltre duecento costumi di scena.

«Era il 2006 quando ho avuto questa idea folle di musicare la Divina Commedia – racconta Frisina -. Una sfida che pensavo impossibile. Volevo renderla teatrale, così che i giovani potessero conoscerla più facilmente e gli adulti potessero rileggerla. La risposta dei ragazzi e delle scuole in questi anni è stata meravigliosa. A Milano sono arrivate più di 7mila richieste da parte degli studenti e a molti abbiamo dovuto dire di no perché non c’erano più posti».

Don Marco iniziò a musicare alcuni passi e si rese conto della grande potenzialità dell’idea. «Scelsi un brano per ogni cantica. Cominciai da Paolo e Francesca, poi passai a Pia de’ Tolomei e conclusi con l’Inno alla Vergine. Mi accorsi della facilità di musicare un testo che presenta già al suo interno una propria musicalità. Mi sono lasciato ispirare da Dante stesso e dal suo viaggio spirituale – continua Frisina -. Un uomo che passa dalla selva oscura alla ricerca del senso della sofferenza, ma che piano piano riconquista Dio. Prima però deve attraversare il suo inferno e sperimentare la purificazione. Solo così potrà godere della visione meravigliosa di quello che è l’ideale dell’uomo secondo Dio e quindi del rapporto con Dio».

Un viaggio raccontato attraverso la scelta di diversi generi musicali per descrivere l’atmosfera delle tre cantiche. «L’Inferno è molto drammatico e contemporaneo. Ho inserito dei brani rock per rappresentare l’umanità così com’è adesso. Un’umanità dolente, arrabbiata, disperata». Nel Purgatorio invece è tutto molto più delicato, «è un mondo di preghiere, dolcezze, tramonti e albe – sottolinea don Marco -. Per rappresentarlo mi sono ispirato all’esperienza della Chiesa orante. Ci sono infatti i canti gregoriani. C’è lo struggimento, ma, a differenza dell’Inferno, è una sofferenza accettata perché porta alla salvezza». Mentre nel Paradiso «la musica è gioia pura, c’è la luce della danza e di quell’amore che “move il sole e l’altre stelle”».

Gli episodi scelti sono tra i più famosi e in alcuni casi strizzano l’occhio all’attualità. «C’è Pia de’ Tolomei, che ricorda le donne vittime di violenza – sottolinea il compositore -. C’è poi Pier delle Vigne, un suicida come tanti che non reggono all’angoscia e alla depressione. Ma anche la disperazione di Ugolino, sentimento di tanti padri che desiderano giustizia. Tuttavia, così come si vede nel Purgatorio e nel Paradiso, nonostante questa sofferenza, la salvezza è possibile. Anche per questo motivo ho voluto rappresentare Beatrice che ispira Dante come se fosse dietro le quinte, per dire che il Paradiso è sempre vicino a noi».

Tra i desideri di don Marco c’è quello di musicare in futuro altri capolavori della letteratura cristiana, perché «il teatro è uno strumento forte, presenta una sorta di liturgia ed è molto vicino all’esperienza umana del mistero dell’uomo e di Dio». Proposte di questo tipo, secondo il sacerdote, avvicinano al Vangelo, all’arte e consentono di «restare giovani. Come ci ha insegnato san Giovanni Paolo II».

20 febbraio 2024