La diocesi di Roma in Terra Santa: un continuo segno di pace

Concluso il pellegrinaggio organizzato dall’Opera romana per i suoi 80 anni, guidato dal vescovo Leuzzi, che ha acocmpagnato un gruppo di docenti universutari, e dal vice presidente Orp monsignor Andreatta

Nel deserto di Giuda si vedono gli insediamenti dei beduini. Tra le dune si affaccia il sole che le tinge di rosa. Per questo deserto, lungo la strada che da Gerico sale a Gerusalemme, Gesù è passato più volte. Li, nel silenzio, si sono fermati a pregare i fedeli nel loro cammino di otto giorni in Terra Santa, dal 17 al 24 novembre, in occasione del pellegrinaggio organizzato dall’Opera romana per i suoi ottant’anni guidato da monsignor Lorenzo Leuzzi, vescovo ausiliare di Roma, che ha accompagnato un gruppo di docenti delle università capitoline, e monsignor Liberio Andreatta, vice presidente e amministratore delegato dell’Opera. «Questi viaggi – dice Cecilia Costa, docente di sociologia generale all’università Roma Tre – diventano alimento fondamentale per la mia vita. Mi sostengono in un cammino di ricerca e di autoevangelizzazione. Sono il sale della mia testimonianza. Non con le parole, ma con l’impegno. Nel mio caso anche nel fare esami. Quei minuti – racconta – sono determinanti per i ragazzi. E proprio perché possono cambiare la loro carriera, è importante saper ascoltare e avere un atteggiamento disponibile».

Al vento caldo e avvolgente del deserto ognuno affida le proprie preghiere e il Vangelo diventa un’esperienza viva. Andare a Cafarnao, Nazareth, Bethlemme o Gerusalemme significa mettere i propri passi vicino a quelli di Gesù, come racconta Bruna Bagaglino: «Toccare la pietra dove è stata messa la croce di Cristo è stata un’esperienza profonda. In quel momento ho chiesto il dono della fede che è cosa ben diversa dall’essere buoni. Nonostante questo periodo ha visto l’inasprirsi del conflitto – sottolinea poi -, non ho avuto alcun timore nel partire». Parole che rimarca anche monsignor Liberio Andreatta: «Dobbiamo accogliere l’invito di Gesù a non aver paura. I pellegrini sono testimoni di pace e vengono in Terra Santa per pregare. E, mai come in un momento come questo, si ha bisogno della loro presenza. In questi giorni, continua il vice presidente Orp, «le nostre giornate sono state un continuo segno di pace. Lo testimonia anche la mancanza di incidenti in cui si è svolta la Via Crucis di giovedì 20».

Un altro momento intenso del pellegrinaggio è stato la visita al Santo Sepolcro. Lì la fila è sempre corposa e si ritrovano persone che vengono da ogni parte del mondo. «Ci tenevo molto a fare questo viaggio – racconta Giuliana, pellegrina con l’Opera romana -. Mi sono svegliata alle 5 del mattino, ho partecipato alla Messa a Betlemme e ora sono a Gerusalemme. È un grande regalo che la vita mi ha fatto. Qui avverti di non essere solo».

Nel gruppo proveniente dalla diocesi di Roma, sono molti i pellegrini che vengono per la prima volta. Tra questi Giovanni Frajese, docente di endocrinologia all’Università degli studi di Roma Foro Italico. «Abbiamo visitato molti luoghi e ognuno è come se ti entrasse dentro; man mano che passano i giorni respiri qualcosa di impalpabile che cambia la percezione di te stesso. Credo – continua – di aver scritto una tappa importante della mia vita. Questo luogo spoglia di ogni apparenza, si percepisce una sostanza di fronte alla quale non si può scappare. Qui si ha possibilità di scegliere di non essere un lupo tra i lupi». Anche per Francesco Baia del Policlinico Umberto I questa è la prima volta in un percorso di questo tipo. E sceglie il silenzio per custodire le emozioni di questi giorni.

Anche i paesaggi sono un invito alla riflessione. Pianura e montagna si cedono il passo con grande rapidità. Mille sfumature trovano una loro sintesi. Dalla roccia scura di basalto tipica della Galilea, a quella calcarea, chiara, di Gerusalemme; dal deserto alle zone verdeggianti ricche di coltivazioni, dalle montagne innevate, alle spiagge piene di palme da dattero. «A volte – racconta Danilo Greci che da molti anni lavora all’Opera romana – mi sento un privilegiato. In Terra Santa respiri la presenza di Gesù. Le pietre, le rocce: tutto parla di Lui. Leggere, qui, i brani del Vangelo fa avvertire la concretezza di quelle parole. Si fatica a lasciare questa terra. Ogni volta che vengo ammiro ogni cosa come se fosse l’ultima. È un luogo a cui non ci si abitua».

Proprio in questi giorni di pellegrinaggio è stato messo a punto il programma del simposio dei docenti universitari che si svolgerà a Roma in giugno, con una sessione dedicata al dialogo interculturale. Per questo sono stati invitati dieci docenti ebrei e dieci palestinesi. «Bisogna annunciare l’amore incondizionato di Dio – ha commentato il vescovo Leuzzi, che è anche direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale unviersitaria -. Questo è fondamentale per costruire la pace».

Ai piedi delle alture del Golan, al confine con la Siria, il lago di Tiberiade, di cui si parla in molti passaggi del Vangelo, e che i pellegrini hanno attraversato in battello. Lì Gesù cammina sulle acque; lì avviene la pesca miracolosa; lì calma le acque. Sull’incresparsi di quelle onde, dove il sole si fonde con l’acqua, ogni pellegrino ha consegnato un pensiero, che poi, traghetterà nel suo cuore. «Come dono – sintetizza don Francesco Giosuè Voltaggio, che ha seguito i pellegrini in questo viaggio e che da dodici anni vive al seminario Redemptoris Mater in Galilea – si porta a casa un’esperienza viva di Dio, con la sua storia e geografia di salvezza, grazie al contatto con la Terra Santa che il beato Paolo VI definì “quinto Vangelo”. I pellegrini in questa terra – conclude – portano in dono se stessi come cristiani, perché sono un ponte indispensabile tra ebrei e musulmani».

24 novembre 2014