La dialettica tra amore e giustizia nella tradizione ebraico-cristiana

Ne hanno parlato il rav Ariel Di Porto e il biblista Maurizio Sessa, protagonisti del penultimo incontro del ciclo “Comprendere il tempo alla luce della Bibbia ebraica”

Penultimo appuntamento con il ciclo di incontri ebraico-cristiano “Comprendere il tempo alla luce della Bibbia ebraica” ieri sera, 13 marzo, nella sala conferenze della basilica di  Santa Maria in Trastevere, sul tema “Giustizia e amore: due realtà contrapposte?”. Moderati come sempre da don Marco Gnavi, responsabile dell’Ufficio diocesano per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, si sono confrontati rav Ariel Di Porto e il claretiano Maurizio Sessa, biblista e docente all’Istituto di Teologia della vita consacrata Claretianum.

Proprio Sessa ha sottolineato come la visione della giustizia che spesso abbiamo sia legata alla tradizione filosofica greca e di conseguenza al diritto romano, secondo la definizione di dare a ciascuno il suo. La dimensione dell’amore, della gratuità è invece «relegata a un piano superiore. In questa dimensione – ha spiegato – sorge un problema per l’interpretazione cristiana della Bibbia ebraica perché l’Antico Testamento è considerato, secondo una certa esegesi, lo “spazio” della giustizia mentre il Nuovo è espressione massima dell’amore». Un’idea molto diffusa tra i cristiani che «ha radici antiche» nell’eresia di Marcione, che considerava il Dio dell’Antico testamento malvagio. Nonostante la sua espulsione dalla Chiesa come eretico, questa sua idea è rimasta latente in ambito cristiano.

«È una semplificazione grossolana e offensiva della tradizione ebraica e un approccio rigorosamente falso – ha rilevato il biblista -. Questa interpretazione tuttavia permane, non solo a livello popolare ma anche esegetico. Si fa fatica ad accettare il linguaggio della Bibbia ebraica attribuibile a un Dio violento e vendicativo». Alcune soluzioni semplicistiche consistono semplicemente nel non leggere certe parole, per esempio alcuni salmi. Ma non è chiaramente sufficiente. Citando gli studi del suo maestro, il gesuita padre Pietro Bovati, fino al 2020 segretario della Pontificia Commissione biblica, Sessa ha evidenziato come l’articolazione tra giustizia e amore sia in realtà necessaria e quanto invece la loro contrapposizione sia fallace: «La giustizia per il mondo biblico ebraico ha a che fare con la relazione tra persone. È giusto chi vive una retta relazione verticale e orizzontale, con Dio e con i fratelli. L’ingiustizia originaria è la negazione del volto dell’Altro, il non riconoscere Dio come fonte di ogni bene. Poi diventa negazione del fratello».

Come ristabilire la giustizia? «Nella Scrittura giustizia e amore coincidono nel tentativo di ristabilire la relazione. Il problema nella Bibbia ebraica è collegare sempre le parole di giustizia all’immagine di un Dio giudice. Ogni suo discorso viene ricollegato a questa idea che sorge dal fallimento della giustizia umana. Dio giudice è dunque un’idea metaforica, è proiettare in Dio il modo umano di vedere la giustizia. L’aspetto positivo è che Dio viene invocato come giudice dall’oppresso che non ha altra speranza di salvezza». Diversi invece i problemi perché «il peccatore viene identificato col peccato, non interessa la sorte del malvagio. Non perché Dio sia malvagio ma perché la regola della metafora è interessarsi del ristabilimento della giustizia in questa modalità». Questo significa che «se la pace si può attuare solo con la violenza, se il bene si può cogliere solo con la violenza, il senso del mondo è la violenza e non il bene, che è subordinato al male».

Un concetto totalmente diverso dal giudizio è quello della lite: «Un’accusa che non vuole la condanna ma la riconciliazione per mezzo della verità. L’accusa in tribunale serve a far condannare il reo. Nella lite, non c’è un terzo che giudica ma due persone in mutua relazione di amicizia, di fraternità. Anche tra le nazioni. E qui l’ambito è quello delle relazioni familiari. Un padre non vuole la condanna del figlio. È il modo usato per parlare della relazione tra Dio e il suo popolo. Allora si capisce anche che il linguaggio violento che troviamo nella Bibbia è piuttosto un linguaggio appassionato, di chi, tradito, fa di tutto per riconquistare la sua amata. Il concetto di giustizia biblica è pertanto la gratuità dell’amore. Non è rinfacciare il peccato ma fare di tutto per riconquistare il cuore dell’altro».

Concetti ripresi anche dal rabbino Di Porto: «Il perseguimento del compromesso dà un’indicazione fondamentale in una visione che identifica nell’armonia sociale il bene superiore. Il giudizio porta la giustizia ma raramente è positivo per i rapporti interpersonali». Risulta così chiaro «che la giustizia da sola non può bastare. Una società adulta pretende altri elementi. La tradizione ebraica vede due polarità che coesistono e si bilanciano», ovvero la generosità e il rigore, ciascuna con le sue caratteristiche. In questo senso, ha sottolineato Di Porto, la Bibbia ammonisce di non usare «nessun favoritismo per il povero: non usare riguardo per il povero né portare rispetto per il grande». Giustizia e misericordia sono «compresenti nella Bibbia e la tradizione rabbinica ha seguito questa linea. La giustizia da sola non avrebbe lasciato scampo all’uomo e Dio la controbilancia con una massiccia dose di clemenza e misericordia».

Amore e giustizia sono pertanto «protagonisti di una serrata dialettica. L’applicazione della giustizia serve a correggere l’amore e l’amore a correggere il rigore della giustizia. L’imperativo è equilibrare continuamente amore e giustizia e questo vale ancora di più nelle leadership politiche. Verità e giustizia, misericordia e amore vanno contemperate. Sono dimensioni del Creatore che dobbiamo fare nostre perché Dio insegna a equilibrare questi elementi anche alle creature».