La denatalità, «emergenza sociale» che chiede «politiche familiari integrate»

L’appello delle Acli, dopo i dati provvisori dell’Istat sulle nascite in Italia. Le richieste: un salario di dignità, agevolazioni per l’accesso alla casa e politiche di conciliazione

Per il decimo anno consecutivo, il numero di neonati in Italia continua a diminuire. L’ultimo anno in cui si è registrato un aumento delle nascite è stato il 2008; da allora il calo è di 197mila unità, pari al -34,2% di nuovi nati. Sono alcuni dei “numeri” forniti dall’Istat a fine marzo, con i dati provvisori sulle nascite in Italia. Ed è proprio a partire da questi numeri che le Acli richiamo il governo – che pure «mostra attenzione sul tema» – all’urgenza di «politiche familiari integrate e sistemiche».

Nell’analisi di Lidia Borzì, consigliera di presidenza con delega alla Famiglia e agli Stili di vita, «nonostante gli allarmi lanciati e le discussioni avviate sulla denatalità nel nostro Paese, l’esecutivo manca di un progetto di promozione lungimirante sulla natalità e di azioni interconnesse». Anzi, «alcune misure sembrano addirittura cozzare contro l’obiettivo di invertire questa tendenza negativa, andando a indebolire proprio le politiche di inclusione». Un esempio su tutti: la dichiarazione del ministro Valditara di porre un tetto alla presenza degli stranieri nelle classi, «quando i dati ci mostrano come gli stranieri siano proprio uno dei pochi pilastri su cui ancora si regge la scarsa natalità del nostro Paese».

Anche «iniziative isolate, come l’introduzione dell’Assegno unico, l’esonero contributivo biennale per le lavoratrici madri o altre forme di interventi spot – prosegue Borzì – non sono sufficienti per affrontare efficacemente un problema che per natura richiede interventi strutturati su strategie a medio e lungo termine con un approccio multitasking, che si faccia carico di alcune questioni importanti, come la lotta al lavoro povero e le misure di agevolazione per l’acquisto di una casa».

Non solo. Il calo della natalità, avvertono dalle Acli, avrà ripercussioni anche sulla tenuta del «già precario» sistema pensionistico italiano. E gli effetti negativi, spiega il presidente del Patronato Acli Paolo Ricotti, non tarderanno a manifestarsi. «Il sistema previdenziale attuale è un sistema non a capitalizzazione bensì a ripartizione: il lavoratore non si paga la propria pensione con i contributi versati, bensì la sua pensione gli viene pagata dai lavoratori attivi che in quel momento lavorano. Quindi in un sistema a ripartizione e non a capitalizzazione, per poter pagare le pensioni ci vogliono altrettanti lavoratori, se non di più, rispetto ai pensionati, e sappiamo che già oggi il rapporto è di circa 7 pensionati su 10 lavoratori: questo rapporto potrebbe raggiungere nei prossimi anni il 10 su 10, e questo creerebbe una situazione del tutto insostenibile».

A partire da queste riflessioni, le Acli chiedono al governo «interventi per garantire un salario di dignità, misure di agevolazione per l’accesso alla casa e politiche di conciliazione che sostengano in particolare le donne , sulle quali grava, nella maggior parte dei casi, il lavoro di cura. Non bisogna dimenticare che tra le principali cause della denatalità c’è il diffuso senso di precarietà tra i giovani – rilevano -, dovuto principalmente al lavoro povero e alla difficoltà ad avere una abitazione. Dalla ripresa della natalità passa il futuro del nostro Paese, una sfida che riguarda tutti».

4 aprile 2024