La “coscienza politica” e la scuola: le attese dei ragazzi

Nel vuoto pneumatico che pare essersi imposto nella società, gli studenti sembrano invocare gli strumenti culturali per generare le domande e i processi per cercare le proprie risposte

La scorsa settimana ho fatto fare la stessa prova scritta di italiano in tre classi diverse: una seconda, una terza e una quarta liceo. Si trattava di scrivere un’argomentazione a partire da alcuni dati Istat che certificavano il progressivo crollo della partecipazione e il sostanziale disinteresse al dibattito politico della fascia tra i sedici e i venticinque anni. Alla luce della serie di dati proposti, le studentesse e gli studenti dovevano dunque provare a riflettere e argomentare su quale fosse il proprio punto di vista sul rapporto tra giovani e politica oggi, nel 2022.

Dico subito che l’esito non è stato dei più felici: gran parte di loro al termine della prova mi ha detto di essersi trovato in difficoltà. Non un banale «non sapevo cosa scrivere», ma il non sentirsi a proprio agio nell’esprimere un punto di vista su una questione percepita come «lontana». Tale difficoltà è stata per altro esplicitata in tanti elaborati con espressioni ricorrenti: «So che è sbagliato ma non mi interessa», «ne sento parlare giusto a tavola quando i miei guardano il telegiornale», «la politica è fatta da persone distanti dal nostro mondo». Fin qui niente di nuovo o di non prevedibile. Ciò che invece mi ha colpito e che ho registrato in almeno i tre quarti degli elaborati è stata un’osservazione che non mi pare affatto scontata e forse nuova.

Con parole più o meno simili, quasi tutte e tutti e nelle tre classi a un certo punto hanno fatto più o meno questa considerazione, che riporto come esempio da uno degli elaborati, parola per parola: «A mio parere dovrebbe essere la scuola a educarci alla politica. Ma non come succede adesso in Educazione civica dove si parla della Costituzione, dell’ambiente o dei diritti, che sono argomenti importanti ma non sufficienti. La scuola dovrebbe proprio spiegarci la politica, farci educazione politica, dirci le idee dei partiti, la storia dei politici, aiutarci a farci una coscienza politica e capire chi votare».

Ecco, questa considerazione, questa richiesta esplicita di delega alla scuola di ciò che un tempo anche noi avremmo definito la costruzione della propria «coscienza politica», mi è parsa significativa, non solo come detto per la ricorrenza in quasi tutti gli elaborati, quanto per la questione seria che pone. Che la scuola debba fornire anche il vocabolario politico, gli strumenti culturali per generare le domande, i processi per cercare le proprie risposte è nella ragione stessa della funzione educativa. Ma constatare come una generazione sembrerebbe volere affidare alla scuola anche la definizione di quelle risposte, delle proprie risposte, mi interroga molto. Quasi che nel vuoto pneumatico che pare essersi imposto nella nostra società, ciò che un tempo nasceva dalla propria rabbia e dalla propria vitalità, dal confronto con i propri pari, da quanto vissuto, letto, sognato, discusso, dalla propria esistenza, insomma, che si definiva anche politicamente e per opposizione rispetto al mondo adulto in contesti diversi ma tutti necessari, tutto ciò oggi possa e debba essere affidato a quel luogo certo di definizione di sé stessi che per loro resta la scuola.

9 novembre 2022