Con la Comunità di Sant’Egidio, “Alla Scuola della pace”

Presentato il libro curato da Adriana Gullotta, coordinatrice del progetto internazionale. Il ministro Fedeli: «Una scuola che non include non è una scuola». Impagliazzo: «Per cambiare il mondo cominciamo dai bambini»

«Una scuola che non include, che non riconosce le differenze, che non fa costruire una comunità non è scuola, non è educazione». Caratteristiche che invece sono presenti, secondo il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli, nella Scuola della pace che la Comunità di Sant’Egidio ha sviluppato in oltre 80 Paesi del mondo per supportare i bambini nell’inserimento scolastico. Le loro esperienze sono state raccolte nel libro dal titolo “Alla Scuola della pace. Educare i bambini in un mondo globale” (edizioni San Paolo), curato da Adriana Gulotta, che è coordinatrice del progetto a livello internazionale. Un libro presentato ieri, martedì 17 ottobre, nella sede di San Gallicano, che «andrebbe conosciuto dentro i percorsi di formazione delle scuole – sostiene il ministro -, perché fa superare le paure delle diversità e l’origine del razzismo, della differenza e dell’odio. Ed è un modello per far sperimentare la relazione educativa. Nessuno può restare indifferente di fronte a queste storie». Di fronte alla sorte toccata a Gigi, che da un anno frequentava la Scuola della pace, a Napoli. Era ancora un bambino quando un proiettile vagante lo colpì a morte, nel quartiere di Poggioreale, il 15 dicembre 1982. Di fronte a quella di William, giovane di San Salvador, che si occupava della Scuola della pace nel suo Paese e strappava i bambini alla criminalità organizzata. La sua vita è stata spezzata per il servizio che portava avanti.

«Oggi viene proposto un metodo: quello dell’amicizia, della gentilezza, della qualità della relazione umana – sottolinea il ministro -. C’è molto di don Lorenzo Milani nel metodo della Comunità di Sant’Egidio. C’è molto nella scuola italiana del metodo di don Milani, per questo credo che con le Scuole della pace abbiate contagiato positivamente la scuola italiana, attraverso la capacità della parola, che non è solo insegnare ma educare alla cittadinanza». Al fianco del ministro, il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo, che scandisce nel corso del suo intervento il leitmotiv che ha animato questo progetto, avviato 50 anni fa: «Per cambiare il mondo, non solo la città, cominciamo dai bambini». Riguardo al libro, poi, «è un viaggio attraverso Sant’Egidio – afferma Andrea Riccardi, fondatore della Comunità, storico e autore della prefazione -, lungo il suo cammino di quasi mezzo secolo tra le strade di Roma e del mondo, vedendo il mondo stesso con gli occhi dei bambini, soprattutto di quelli poveri delle periferie». Ed è proprio dalle periferie, dalla Roma delle baracche, che le Scuole della pace mossero i loro primi passi, per «lottare contro l’esclusione dei figli dei baraccati, che spesso non andavano a lezione perché non avevano scarpe e vestiti o perché non potevano lavarsi. Scuole che non si sostituivano all’istruzione pubblica. Spesso diventavano un doposcuola, un corso di educazione alla pace».

Proprio l’«educare alla pace costituisce un grande investimento sul futuro, perché imparare a vivere insieme, in pace, è un processo lungo e impegnativo», secondo il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, che richiama due temi di grande attualità: lo Ius soli e Ius culturae. «C’è ancora qualcuno che pensa che i figli di immigrati siano un problema che non ci riguarda», chiosa tra gli applausi. Secondo la giornalista Maria Novella De Luca, invece, la Scuola della pace ricopre «un ruolo che dovrebbe svolgere la scuola pubblica, in particolare nel doposcuola. I problemi dei bambini degli immigrati di seconda generazione sono gli stessi dei bambini delle baracche degli anni ’70». Infine, parola alla curatrice del libro Adriana Gulotta, che racconta come, nel selezionare i materiali provenienti dai bambini del mondo, abbia notato, nonostante le differenze culturali, un comune desiderio: quello di pace.

18 ottobre 2017