La comunità congolese di Roma ricorda Luca, Vittorio e Mustapha

La celebrazione nella chiesa a due passi da piazza Navona. Il cappello don Sylvestre: «Il loro sangue è quello di tutto il popolo congolese che continua a essere violentato e trucidato. Ognuno deve fare la propria parte affinché le armi tacciano in ogni Paese martoriato dalla guerra»

Nel giorno in cui la Repubblica democratica del Congo piange la morte di altri dieci civili innocenti uccisi nella notte tra sabato e domenica nell’est del Paese, la comunità congolese di Roma ricorda l’ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci, e l’autista congolese Mustapha Milambo assassinati lunedì 22 febbraio nei pressi della città di Kanyamahoro. Vittime innocenti il cui sangue «grida come quello di Abele» e si leva forte dall’Italia e dal Congo, due Paesi oggi «accomunati dallo stesso dolore», ha affermato don Sylvestre Kumbo Dusa Adesengie, cappellano della comunità congolese di Roma, che ieri, domenica 28 febbraio, ha presieduto la celebrazione eucaristica nella chiesa della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo degli Agonizzanti, a due passi da piazza Navona.

Condividendo la sofferenza delle famiglie delle tre vittime dell’attentato, il sacerdote ha rimarcato che le violenze e i massacri che si stanno consumando in quell’angolo dell’Africa Subsahariana «devono interpellare il mondo intero». Il sangue versato da Luca, Vittorio e Mustafa «è quello di tutto il popolo congolese che continua a essere violentato e trucidato – ha proseguito nell’omelia -. Non è più possibile continuare a fare finta di non capire e di non vedere la situazione drammatica che da oltre venti anni vive la popolazione della Repubblica democratica del Congo». Per far sì che il sacrificio di Luca e Vittorio non rimanga vano ma getti le basi per iniziare a «costruire un mondo di pace, più giusto, fraterno, unito e solidale» ognuno è chiamato a «svegliarsi, a rompere il proprio silenzio e a sciogliere la lingua – le parole di don Sylvestre -. Ognuno deve fare la propria parte affinché le armi tacciano in Congo e in ogni altro Paese martoriato dalla guerra. Dio ce ne chiederà conto».

Nella seconda domenica di Quaresima il Vangelo proposto per la liturgia è quello della Trasfigurazione di Gesù sul Monte Tabor e a tal proposito il cappellano ha ricordato che l’ascesa è il momento della preghiera e dell’incontro intimo con il maestro, dal quale scaturisce il desiderio di «scendere velocemente dalla montagna» per testimoniare l’incontro con il Signore nel proprio vissuto quotidiano. «È proprio in questa dimensione della missionarietà che Luca Attanasio e Vittorio Iacovacci, dopo aver incontrato Cristo, si sono messi a servire il prossimo senza risparmiare la propria vita», ha detto don Adesengie, specificando che il commando che ha assassinato il diplomatico e il militare «li ha tolti dalla nostra vista ma non cancellerà la memoria del bene che hanno compiuto».

In questa settimana, infatti, la comunità congolese a Roma ha raccolto dai connazionali in Africa «tante testimonianze del servizio dell’ambasciatore sempre impegnato accanto agli ultimi, ai bambini orfani, pronto a dare supporto materiale e anche spirituale», ha concluso il sacerdote. Particolarmente commosso l’ambasciatore del Congo in Italia Fidele Sambassi Khakessa, il quale ha ricordato con «quanto amore» il collega Attanasio e la moglie Zakia Seddiki «si prendevano cura dei bambini che vanno a lavorare in miniera o dormono per strada perché non hanno nessuno che si occupi di loro. Non doveva morire in questo modo». Ha quindi lanciato un appello alla comunità internazionale ancora «indifferente alle barbarie perpetrate da decenni ai danni di una popolazione vittima anche dell’egoismo delle multinazionali».

1° marzo 2021