La visita del cardinale Vallini alla comunità etnica che si raduna alla Natività, a piazza Pasquino, e la celebrazione della Messa animata “all’africana”.
Un pezzo di Africa nel cuore di Roma: è la chiesa della Natività a piazza Pasquino, che dal 1994 ospita la comunità congolese della Capitale, e che ieri, domenica 21 settembre, per la prima volta è stata visitata dal cardinale Agostino Vallini. Composta da circa 1.200 persone, la comunità congolese è una delle 44 comunità etniche della diocesi: una «Chiesa viva, una famiglia, punto di ritrovo per tutti», spiega il cappellano don Silvestro Adesengie, che ha fatto dell’accoglienza la sua cifra distintiva. Il mercoledì e il venerdì la chiesa è aperta per chi ha bisogno di aiuto e di ascolto; ogni ultimo sabato del mese si riunisce il consiglio pastorale, per programmare le attività mensili, lavorando in sintonia con le altre parrocchie del territorio. Le principali difficoltà da affrontare sono legate alle condizioni in cui versa la piccola chiesa, ricostruita nel 1862, «molto rovinata – fa notare don Silvestro indicando le crepe che minacciano la volta – e bisognosa di restauri». Non solo: «Mancano spazi e aule per riunirci – prosegue -: facciamo quello che possiamo per andare avanti, ma c’è molto da lavorare».
Ogni sabato pomeriggio il coro si riunisce per preparare la Messa domenicale, celebrata in italiano, congolese, e francese, che raduna i fedeli congolesi, e, con la vivacità delle animazioni e dei canti, attira anche molti curiosi e turisti di passaggio sulla strada che collega piazza Navona a Castel Sant’Angelo. «Qui c’è un rito particolare che permette ai congolesi di vivere la lode a Dio come facevano i loro antenati – spiega don Silvestro -. Lo facciamo “all’africana”, ed è un modo di evangelizzare: lodare Dio nella gioia di servire e di essere insieme, che si trasmette e attira tante persone, anche molti amici italiani». Un’animazione particolare, che ha scandito anche la celebrazione di ieri, in cui il cardinale Vallini, ricordando la sua esperienza in Congo, nella diocesi di Kananga, ha sollecitato i fedeli a farsi testimoni del Vangelo ai fratelli più lontani. «Il mondo intero ha bisogno dell’annuncio di Gesù Salvatore che ci libera dalla morte e dal peccato – ha detto il porporato nell’omelia -: il Signore chiama continuamente nuovi operai per diffondere l’annuncio di salvezza. È bello sapere che non siamo abbandonati e che il Signore trova le sue vie, quelle dell’amore universale».
Grande consolazione per tutti, ha osservato il vicario del Papa per la diocesi di Roma, è sapere che «il Signore non guarda alle differenze e tratta generosamente chiunque gli apre il cuore e si rende disponibile alla sua chiamata», andando oltre quella «giustizia retributiva» che è il criterio umano di trattare le cose. E di fronte a Dio che «allarga il cuore e ci abbraccia e ci ama», ogni battezzato è chiamato a essere testimone ai fratelli dell’amore ricevuto. Un concetto ribadito con forza anche al termine della celebrazione, quando il cardinale ha ringraziato la comunità, esortandola a diffondere la gioia a tutti i congolesi a Roma, per essere parte di una «Chiesa che si costruisce attraverso quella “santa infezione” che dobbiamo trasmettere con la nostra vita» e di una comunità che, sostenuta e fortificata dalla Parola di Dio. Una Chiesa che sappia raggiungere «la prima grande periferia, quella del cuore e della lontananza da Dio che rovina il mondo».
22 settembre 2014