«La casa sul mare», metafora del disamore contemporaneo

Il film del.regista francese Robert Guédiguian, Premio della giuria cattolica Signis alla Mostra di Venezia, ha la capacità di scavare nelle pighe del passato

Tre fratelli di mezza età si incontrano dopo tanto tempo in una villa affacciata sul mare di Marsiglia. A riunirli è l’età avanzata dei genitori che richiede la necessità di prendere alcune importanti decisioni comuni. Angela è attrice e vive ora a Parigi tra i momenti belli e brutti della professione. Joseph vorrebbe fare lo scrittore e sta insieme a una ragazza molto più giovane di lui che lo sostiene e lo incoraggia. Armand è l’unico rimasto nel paese di origine, dove manda avanti ancora il piccolo ristorante di famiglia. Così prende il via l’azione, che soffre all’inizio di poche occasioni di dinamica narrativa.

Eppure quasi da subito movimenti, sguardi, sentimenti ruotano intorno ai protagonisti e ne definiscono pregi e limiti. Fin dalla presentazione alla 74esima edizione della Mostra di Venezia, nel settembre 2017, La casa sul mare ha colpito e incantato pubblico e critica per la capacità di scavare, con malinconia e senza paura, nelle pieghe di un passato difficile da rileggere. Il film trova la strada per arrivare all’esame del pubblico ben sei mesi dopo la prima presentazione, una circostanza che riporta in primo piano la mai troppo criticata situazione del modo schizofrenico cui è affidata la capacità distributiva nel nostro mercato. Troppi titoli per poche sale, e un’offerta che finisce per mangiarsi la coda.

Aggredito da un numero eccessivo di proposte, il pubblico finisce per essere disorientato di fronte alla necessità di scegliere. E la decisione non sempre può essere la migliore. Tuttavia lo stesso film ha la capacità di catturare interesse e coinvolgimento scavalcando limiti, forme, distrazioni. La riunione, che favorisce l’incontro tra i tre fratelli, diventa ben presto un espediente per ricordare il passato, le passioni condivise e sottolineare le fratture sociali del presente. Angela, Joseph e Armand hanno molto in comune ma non riescono a nascondere le loro diversità. La vita li ha portati lungo percorsi lontani e distanti tra loro, li ha indotti a essere severi e capaci di dure valutazioni reciproche. Tra di loro correva quel qualcosa che prima li infiammava e ora li lascia indifferenti, se non palesemente rivali.

La fine delle ideologie incombe sulla loro emotività, secondo una frattura che talvolta è esplicita talaltra finisce in una sommessa patetica perdita di memoria. Robert Guédiguian è regista francese di visioni ampie e profonde, già autore di titoli difficili da dimenticare quali Le nevi del Kilimangiaro e Le passeggiate sul Campo di Marte. Qui recupera uno stile narrativo improntato a una poetica decadente e dai tratti struggenti.

Guardando al progressivo allontanarsi dei suoi personaggi dalla quotidianità e dalla realtà delle cose, l’autore li fa tornare indietro a vedere se stessi, come erano da giovani. Sequenza febbrile e memorabile che rimanda a quel cinema francese che mette in campo il senso della vita e della storia. Ricordare non per costruire nostalgia, ma per scavare nel passato e rimetterlo in gioco nel presente. Aggredire la vita come inizio di una nuova scommessa da promuovere e da combattere punto su punto. Va ricordato che a Venezia il film di Guédiguian ha ricevuto il primo premio da parte della Giuria cattolica internazionale Signis, con la motivazione: «Ha molto da dire sui legami familiari, il significato della casa, il rapporto con i vicini (migranti) e il confronto con la popolazione che invecchia… Un’onesta e commovente celebrazione della vita».

 

16 aprile 2018