La bellezza ferita del centro Italia, quella “negata” e quella dell’arte
Sessione finale per il Convegno Orp. L’arcivescovo di Spoleto-Norcia: «Ricostruire, con la memoria delle ferite». Sgarbi: il bello «dimostra che Dio c’è»
Sessione conclusiva per il Convegno Orp. L’arcivescovo di Spoleto-Norcia: «Ricostruire, con la memoria delle ferite». Vittorio Sgarbi: il bello «dimostra che Dio c’è»
Il ricordo di quello che non c’è più, il ritrovarsi senza punti di riferimento, l’impossibilità di riconoscere i luoghi in cui si è cresciuti e la prospettiva di quello che non c’è ancora: tutto questo nella relazione di monsignor Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia, intervenuto questa mattina, martedì 31 gennaio, all’ultima giornata di lavori del XIX Convegno nazionale teologico-pastorale organizzato dall’Opera romana pellegrinaggi. Norcia, come diverse diocesi del centro Italia, porta il peso e la ferita della «brutta bestia» , il terremoto che continua a farsi sentire diverse volte al giorno. «Il terremoto della Valnerina – ha spiegato il presule – non solo ha creato profonde ferite al patrimonio artistico e ambientale, ma anche una cesura tra il passato e il futuro e attraverso le ferite prodotte al paesaggio, agli edifici, alle opere d’arte, ha ferito il cuore e la mente delle persone».
Nella zona della Valnerina sono oltre 200 le chiese distrutte o inagibili, probabilmente recuperabili, mentre a Norcia non c’è più una chiesa agibile. Della basilica di San Benedetto, una delle chiese-simbolo dell’Umbria, capolavoro dell’architettura medievale, oggi restano in piedi solo le mura perimetrali. Crollata la concattedrale di Santa Maria Argentea dove era custodito un Crocifisso ligneo ancora oggi sepolto dalle macerie. Fin da subito si è parlato di ricostruire, «verbo declinato in tutte le sue forme e tempi», ha detto l’arcivescovo, il quale ha evidenziato che la ricostruzione di case, aziende, chiese deve essere una priorità per restituire alla gente una vita dignitosa e sicura ma è necessario chiedersi come e dove ricostruire, con quali criteri e quale stile. In proposito ha espresso «perplessità» sul ricostruire «come prima», specialmente per quanto riguarda le chiese. «Abbiamo visto le macerie – ha affermato -; ricostruire tutto come se nulla fosse avvenuto significherebbe, al termine dei lavori, trovarsi davanti ad un “vero falso”. Il terremoto, inoltre, è un evento che fa storia, ed entra nella memoria dei popoli. Gli edifici – sacri e profani – portano i segni delle vicissitudini che hanno affrontato o subìto nel corso dei secoli». Per questo secondo l’arcivescovo le ferite del terremoto non devono essere completamente cancellate ma bisognerà riproporre il patrimonio di arte e di fede in modo nuovo.
Don Marco Pozza, cappellano del carcere di Padova, ha parlato de “La bellezza negata”: si può trovare bellezza anche in luoghi insoliti, di esclusione, come può essere il carcere. «Non c’è nessun posto come il carcere – ha detto – in cui poter osservare da vicino la negazione della bellezza. Le condanne nascoste in quel frastuono di voci sono parole che parlano da sole». Eppure anche in carcere un uomo può trovare Dio se rimane a contatto con il bene, come è capitato a un recluso conosciuto da don Marco, e «da bellezza-negata, la bellezza è tornata a governare la storia di quell’uomo».
Per don Valerio Pennasso, direttore dell’Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della Cei, «per trovare le sinergie giuste affinché si realizzi l’equilibrio tra la conservazione e la valorizzazione dei beni si impone un patto di area, una capacità unica dei diversi soggetti che operano su un territorio omogeneo».
«Nessuna religione ha espresso tanta bellezza come quella cristiana, volta all’amore e non alla violenza», ha detto Vittorio Sgarbi parlando di “Fede e bellezza nell’arte”. Per lo storico, la bellezza nella fede è strettamente legata all’umanità di Cristo, che offre all’artista la possibilità di rappresentarlo nell’arte. «Siamo dotati di una religione illustrata – ha aggiunto – in cui la bellezza serve alla fede più che la fede alla bellezza». Il critico, che ha «trovato testimonianze di fede soprattutto nell’arte», ha mostrato alcune opere che mettono in evidenza il nesso tra fede e bellezza, rappresentato esplicitamente in pittura come fa Caravaggio nelle Sette Opere di Misericordia o nel Martirio di San Giovanni Battista. Per concludere Sgarbi, ha evidenziato che la bellezza, più di altri, è lo strumento della fede perché nel modo in cui si manifesta c’è la concreta certezza che «Dio c’è ed è dentro di noi».
31 gennaio 2017