Kose: il rap per raccontare Dio

L’artista ospite della festa patronale di Regina degli Apostoli. L’esordio nell’hip hop, quindi la conversione e la scoperta di potere «unire la fede trovata con la mia passione»

Il rap per raccontare Dio e la fede: è la proposta musicale del rapper Gianluca Cosentino, in arte “Kose”. Un modo originale di testimoniare il cristianesimo, ma anche un cammino personale che affonda le sue radici già venti anni fa, quando lo stesso Kose ebbe una sua conversione personale. Parole, frasi, musica, dunque, che da ormai anni sbarcano in tutta Italia tra oratori e parrocchie e che questa sera, 26 maggio, alle 21, il rapper propone a Roma, durante la festa patronale della parrocchia Santa Maria Regina degli Apostoli alla Montagnola, proponendo i suoi brani e la sua testimonianza (ingresso libero).

Nato a Mantova, 44 anni, si avvicina alla cultura hip hop già all’età di 14 anni, prima con il breaking e poi con il rap. È nel 2003, «esattamente 20 anni fa» come ci tiene a ricordare, che la sua vita «cambia radicalmente, a causa di un’esperienza inaspettata e che lo ha travolto e sconvolto», ma che ha anche significato per lui «un nuovo cammino, una nuova vita». Un qualcosa che, come lui stesso spiega in un suo disco, «non ho cercato, ma ho evidentemente desiderato, senza neanche accorgermene».

La domanda che assillava Cosentino era: «Che senso ha vivere, diplomarsi, trovare un lavoro. Per cosa?». Parallelamente, però, non ne voleva sapere di Gesù e della fede, tanto da «liquidare, senza troppi complimenti, la madre di un amico che una sera a cena mi parlò molto profondamente di Cristo». Qualche mese dopo, a Roma, nel periodo pasquale, si trovò a San Pietro e ascoltò le parole di Giovanni Paolo II, che disse: «Gesù è l’unico in grado di spezzare le catene dell’odio». Per Gianluca Cosentino «quelle parole furono una folgorazione, tanto da sentire qualcosa smuoversi in lui». Tornato a Mantova «mi misi concretamente alla ricerca, finché – racconta – non arrivò un altro segno, che qualcuno chiama “Dioincidenze”». Ebbe l’occasione, infatti, di partecipare a un’adorazione eucaristica. «Ero così ignorante in materia – ricorda – che non ne avevo mai visto una, fu l’ennesima folgorazione che mi fece arrendere all’amore».

Da quel giorni iniziò un cammino che lo portò anche a mettere da parte la musica per concentrarsi sulla sua fede, fino ad un’ulteriore svolta quando un sacerdote si ricordò del suo passato con il freestyle e lo fece esibire, senza nulla di programmato, a una festa parrocchiale. «Da lì iniziai a realizzare che potevo unire la fede appena trovata con la mia passione». L’obiettivo di Kose «non è quello di spiegare ogni cosa, ma lanciare un sasso, gettare un seme, per tentare di far nascere qualcosa spontaneamente proprio come successe a me». È questo, infatti, secondo il rapper, l’unico orizzonte possibile da proporre ai giovani, che oggi – dopo essersi iscritto nel 2009 all’Istituto Superiore di Scienze Religiose – incontra quotidianamente nell’altro suo impegno di  insegnante di religione. Spesso, come spiega, il rap viene inteso come un modo per spiegare la propria interiorità «e io – sottolinea – tento di fare proprio questo, raccontando ciò che ho vissuto e vivo da quando mi sono convertito». I suoi brani, infatti, parlano di «Dio che non mi ha abbandonato», oppure di essere «stato in ricerca» o avere «sete», proprio come il nome di un suo singolo.

I palcoscenici di Kose sono, ovviamente, diversi rispetto al rap a cui si è abituati nell’immaginario collettivo. Oratori, scuole e parrocchie come Regina degli Apostoli a Roma. «Rinnovo con le parole del rap – spiega – il racconto delle meraviglie che Dio ha fatto con me». Il messaggio finale della sua musica e delle sue esibizioni è molto chiaro: «Cercate sempre un senso alla vita e non buttate via nulla. Il Signore con me lo ha fatto, facendomi scoprire la fede e mantenendo questa mia passione».

26 maggio 2023