Ius culturae: no al dibattito ideologico

Il vescovo Di Tora evidenzia la complessità del fenomeno migratorio, che vede l’Italia come Paese di partenze, oltre che di arrivi. Il fondamento evangelico dell’accoglienza e il diritto internazionale

Martedì scorso è stato presentato il “Rapporto italiani nel mondo”, uno studio sugli italiani che emigrano all’estero. Il problema delle migrazioni non ci riguarda solo nei confronti di chi arriva ma anche di chi parte. Siamo abituati a vedere l’Italia come Paese di immigrazione, dimenticando, o addirittura disconoscendo, che anche l’Italia è Paese di emigrazione. All’inizio del 2017 sono 5 milioni gli italiani residenti all’estero. Solo nel 2016, le partenze degli italiani, tra fuga obbligata e voglia di riscatto, sono state 124.076, esattamente 16.547 in più rispetto all’anno precedente.

Le migrazioni rimangono un fenomeno complesso e in continua e costante trasformazione, ed evidentemente vanno studiate, monitorate e quindi, soprattutto, governate. Ogni immigrato è un uomo che porta attese e speranze, non è un numero o una categoria. Occorre dire “no” ad una cultura di slogan e frasi fatte; saper discernere nei segni dei tempi le opportunità, le risposte a problematiche antropologiche e lavorative, considerando la presenza dell’altro come opportunità ed arricchimento. Il rapporto della Fondazione “Moressa” per l’Italia ci dice: «Dagli immigrati 130 miliardi di Pil, senza rubare posti a nessuno». La Bibbia poi ci insegna già dal libro del Levitico: «Il forestiero dimorante tra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; l’amerai come te stesso», fino alle parole del Signore Gesù che si identifica con lo straniero accolto o rifiutato di tutti i tempi: «Venite benedetti dal Padre mio, ero forestiero e mi avete accolto». In visita alla Fao, Papa Francesco ha espresso pieno appoggio al “Patto mondiale per la migrazione sicura, ordinata e regolata” dell’Onu. La sua sollecitudine pastorale l’ha declinata nel messaggio per la Giornata mondiale delle migrazioni 2018, in quattro verbi: «Accogliere, proteggere, promuovere, integrare».

Nel contesto di integrazione rientra il riconoscimento di cittadinanza a coloro che nascono in questa nazione, parlano la nostra lingua, accettano la nostra Costituzione: lo “ius soli”. Legge che risolve i problemi, non li crea, e stabilisce una maggiore responsabilità impegnando tutti al benessere del Paese. Legge che prevede l’acquisizione della cittadinanza per chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, dei quali almeno uno sia in possesso del diritto di soggiorno permanente. Non è quindi un’invasione, né un’intrusione, ma un principio di diritto internazionale contro l’«apolidia». Egualmente per lo “ius culturae”, cioè l’acquisizione della cittadinanza a seguito di un processo formativo per i minori arrivati entro il 12° anno di età, che dimostrino di avere completato un processo intero di studi e accettano pienamente le nostre leggi e la nostra Costituzione.

Purtroppo, anziché approfondire la legge, ci siamo immersi in un dibattito ideologico di un cosmopolitismo poco concreto e di un identitarismo nazionale altrettanto aleatorio. La convinzione che le migrazioni non sono la “fine del mondo ma l’inizio di un mondo nuovo”, come la storia ha più volte insegnato, unita a un rinnovato impegno e presa di coscienza da parte di tutti, ci offrono la speranza di poter costruire una società aperta di benessere nella novità e nella continuità. (Guerino Di Tora, vescovo ausiliare, presidente della Fondazione Migrantes)

23 ottobre 2017