Italiani solidali ma con i soldi degli altri

Una ricerca in occasione dei 30 anni del Magis. De Rita: «Raffreddamento della solidarietà». Padre Albanese: «Stiamo assistendo allo strapotere degli stupidi. Essere credenti significa contrastare questo pensiero debole»

Solidali sì, ma con contributi altrui. Ha riservato non poche sorprese l’indagine Censis “Missione, solidarietà internazionale e stili di vita degli italiani” presentata ieri, mercoledì 21 novembre, da Giulio De Rita, ricercatore dell’istituto, nel simposio “Quale futuro per la solidarietà? Osare lo spirito missionario nella contemporaneità” organizzato alla Pontificia Università Gregoriana di Roma per i 30 anni del Magis, Movimento e azione dei Gesuiti italiani per lo sviluppo. Il 77% degli italiani tra i 18 e i 64 anni ritiene giusto e doveroso aiutare i Paesi a sud del mondo ma solo il 20% elargisce contributi e 1 su 10 è disposto a modificare il proprio stile di vita. I più votati alla solidarietà sono i giovani che nel 47% dei casi ritengono giusto essere al fianco dei Paesi poveri.

«Senza dubbio nel nostro Paese c’è un raffreddamento della solidarietà», ha detto De Rita ribadendo la sua meraviglia nel riscontrare che il 32% degli intervistati ritiene che il sostegno deve essere finalizzato a evitare che «vengano qui da noi» mentre per il 44,2% è un dovere del più ricco aiutare il più povero. «Non è diffusa quanto si possa immaginare l’idea che bisogna prima aiutare gli italiani in difficoltà: è un pensiero comune al 19% delle persone», ha proseguito. Alla domanda chi si deve occupare dei Paesi a sud del mondo il 53% degli italiani ripone fiducia nelle agenzie delle Nazioni Unite ma per il 48% è la missione più importante alla quale dovrebbe dedicarsi la Chiesa.

Il termine solidarietà per padre Augusto Zampini Davies, del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, «è usurato e mal interpretato: ci si limita ad atti di generosità sporadici», ha osservato. Dopo di lui, padre Renato Colizzi, presidente del Magis, ha quindi rimarcato che la solidarietà «è un valore da riscoprire. La nostra è una sfida culturale e religiosa». Il Magis promuove la missione dei Gesuiti nel mondo e sostiene 38 progetti in 21 Paesi. Opera che per padre Colizzi proseguirà per creare «un mondo casa comune in cui celebrare la vita oltre la povertà, la violenza e la corruzione».

A destra, Paolo Ruffini

Durante la serata dedicata alla fondazione che coordina le attività missionarie e di cooperazione internazionale della provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù, sono stati ricordati padre Victor Luke Odhiambo, primo gesuita di nazionalità keniana,  ucciso il 14 novembre in Sud Sudan, il romano padre Paolo Dall’Oglio, fondatore della comunità monastica siriana di Mar Musa rapito il 29 luglio 2013 a Raqqa, e la 23enne milanese Silvia Costanza Romano rapita martedì sera in Kenya. Paolo Ruffini, prefetto del dicastero per la comunicazione della Santa Sede, si è soffermato sull’importanza della missione del comunicare e della comunicazione missionaria, spiegando che il rischio del nostro tempo «è quello di costruire, anche attraverso una comunicazione errata, tribù ostili invece di comunità, fondate sull’esclusione e sull’odio dell’altro». La missione del giornalista, ha spiegato, è quella di «cercare la verità raccontando la missionarietà». È quindi necessario «reagire alla deriva narcisistica che divide il mondo in due e al dualismo feroce del web che riduce la vita ad un gioco».

Nel corso del simposio, moderato dalla giornalista Rai Maria Gianniti, il missionario comboniano padre Giulio Albanese, che è anche membro del Comitato per gli interventi caritativi a favore del terzo mondo della Cei, ha sottolineato che il Magis sta svolgendo «un’azione culturale, non solo solidale». Per il sacerdote in quest’epoca è fondamentale «aiutare coloro che abitano il Bel Paese e far girare i neuroni perché sta diffondendosi la legge fondamentale della stupidità sociale. Stiamo assistendo allo strapotere degli stupidi. Essere credenti significa contrastare questo pensiero debole».

Fratel Jihad Youssef

Il monaco siriano Jihad Youssef, della comunità monastica Deir Mar Musa, ha ricordato il suo trascorso tra i profughi iracheni in Turchia: «La mia avventura è stata una formazione più che una missione, ho ricevuto cento volte di più di quanto nella mia miseria ho dato». Padre Gianfranco Matarazzo, provinciale dei gesuiti di Italia, Malta, Albania e Romania, si è soffermato sulla missione dei gesuiti che si occupano di «formazione ignaziana e di trasmissione della fede in un mondo complesso».

22 novembre 2018