Istat: in 10 anni espatriati circa 182mila laureati italiani

Pubblicato il rapporto sulla popolazione residente nel 2018. In media il saldo è negativo per 70mila persone all’anno. In calo iscrizioni anagrafiche dall’estero

182mila laureati italiani hanno lasciato il Paese negli ultimi 10 anni. È uno dei dati contenuti nel rapporto “Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche della popolazione residente” pubblicato dall’Istat nella giornata di ieri, 16 dicembre. Nel 2018, si legge nel report, il volume complessivo delle cancellazioni anagrafiche per l’estero è di 157mila unità, in aumento dell’1,2% rispetto all’anno precedente. Le emigrazioni dei cittadini italiani sono il 74% del totale (116.732). Stando ai dati diffusi, se si considera il numero dei rimpatri (iscrizioni anagrafiche dall’estero di cittadini italiani), pari a 46.824, il calcolo del saldo migratorio con l’estero degli italiani – vale a dire le iscrizioni meno le cancellazioni anagrafiche – restituisce un valore negativo di 69.908 unità. «Il tasso di emigratorietà dei cittadini italiani è pari a 2,1 per 1.000».

Tra il 1999 e il 2008 «gli italiani che hanno trasferito la residenza all’estero sono stati complessivamente 428mila a fronte di 380mila rimpatri, con un saldo negativo di 48mila unità – informano dall’Istat -. Dal 2009 al 2018 si è registrato un significativo aumento delle cancellazioni per l’estero e una riduzione dei rientri (complessivamente 816mila espatri e 333mila rimpatri); di conseguenza, i saldi migratori con l’estero dei cittadini italiani, soprattutto a partire dal 2015, sono stati in media negativi per 70mila unità all’anno». La Regione da cui emigrano più italiani, in valore assoluto, è la Lombardia davanti a Veneto, Sicilia, Lazio e Piemonte (9mila). In termini relativi, rispetto alla popolazione italiana residente nelle regioni, il tasso di emigratorietà più elevato si ha in Friuli-Venezia Giulia (4 italiani su 1.000 residenti), Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta (3 italiani su 1.000). Le regioni con il tasso di emigratorietà con l’estero più basso sono Basilicata, Campania e Puglia, con valori pari a circa 1,3 per 1.000. La destinazione “preferita” è il Regno Unito; seguono Germania, Francia, Svizzera e Spagna. Tra i Paesi extra-europei, le principali mete di destinazione sono Brasile, Stati Uniti, Australia e Canada.

Ad espatriare nel 2018 sono stati per lo più uomini (56%), anche se fino ai 25 anni il contingente di maschi e femmine emigrati è ugualmente numeroso (18mila) e con una distribuzione per età perfettamente sovrapponibile. «A partire dai 26 anni fino alle età anziane invece gli emigrati iniziano a essere costantemente più numerosi delle emigrate; dai 75 anni in poi le due distribuzioni tornano a sovrapporsi». Stando ai dati diffusi, l’età media degli emigrati è di 33 anni per gli uomini e 30 per le donne. Un emigrato su cinque ha meno di 20 anni, due su tre hanno un’età compresa tra i 20 e i 49 anni mentre la quota di ultracinquantenni è pari al 13%.

L’indagine Istat prende in esame anche il livello di istruzione al momento della partenza: nel 2018 più della metà dei cittadini italiani che si sono trasferiti all’estero (53%) è in possesso di un titolo di studio medio-alto. Si tratta di circa 33mila diplomati e 29mila laureati, in aumento rispetto all’anno precedente rispettivamente dell’1 e del 6%. Un incremento ancora più consistente se si amplia lo spettro temporale: rispetto a cinque anni prima gli emigrati con titolo di studio medio-alto crescono del 45%. «Rispetto al 2009 – notano i ricercatori -, l’aumento degli espatri di laureati è più evidente tra le donne (+10 punti percentuali) che tra gli uomini (+7%). Tale incremento risente in parte dell’aumento contestuale dell’incidenza di donne laureate nella popolazione (dal 5,3% del 2008 al 7,5% del 2018)».

L’altra faccia della medaglia sono i rimpatri: nel 2018, considerando il rientro degli italiani di 25 anni e più con almeno la laurea (13mila), la perdita netta (differenza tra rimpatri ed espatri) di popolazione “qualificata” è di 14mila unità. Tale perdita riferita agli ultimi dieci anni ammonta complessivamente a poco meno di 101mila unità. La causa, stando all’indagine Istat, «è da attribuire in parte alle difficoltà del nostro mercato del lavoro, soprattutto per i giovani e le donne e, presumibilmente, anche al mutato atteggiamento nei confronti del vivere in un altro Paese – proprio delle generazioni nate e cresciute in epoca di globalizzazione – che induce i giovani più qualificati a investire con maggior facilità il proprio talento nei Paesi esteri in cui sono maggiori le opportunità di carriera e di retribuzione».

Le iscrizioni anagrafiche dall’estero registrate nel corso del 2018 ammontano a 332.324, in calo del 3,2% rispetto all’anno precedente; di queste, 286mila riguardano cittadini stranieri (86% del totale). A livello nazionale il tasso di immigratorietà è pari a 4,7 immigrati stranieri ogni 1.000 abitanti. «L’andamento dei flussi migratori in ingresso nell’ultimo decennio per macro-aree di provenienza evidenzia un calo generale delle immigrazioni per tutti i Paesi esteri», rilevano dall’Istat, aggiungendo che «dopo l’incremento dovuto alle regolarizzazioni e all’ingresso di Romania e Bulgaria nell’Unione europea osservato nei primi anni Duemila, i trasferimenti dall’estero hanno avuto un lento declino. Dal 2015 al 2017 le immigrazioni sono tornate ad aumentare per via dei flussi numerosi provenienti dai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, caratterizzati prevalentemente da cittadini in cerca di accoglienza per asilo e protezione umanitaria . Nel 2018, questi ingressi hanno subito una battuta d’arresto».

Nell’anno in esame, le iscrizioni anagrafiche dall’estero più numerose provengono, in valore assoluto, da Paesi europei, Romania in testa con 37mila ingressi (11% del totale), seppur in deciso calo (-10% rispetto al 2017). Meno numerosi i flussi provenienti dall’Albania (oltre 18mila) ma in forte aumento rispetto all’anno precedente (+16%). Seguono le iscrizioni da Ucraina (8mila, -2%), Germania (oltre 7mila, +9%) e Regno Unito (poco meno di 7mila, +12%). Sempre consistenti, ma nettamente in diminuzione, le immigrazioni provenienti dal continente africano, in particolare da Nigeria (18mila, -24%), Senegal (9mila, -20 %), Gambia (6mila, -30%), Costa d’Avorio (5mila, -27%) e Ghana (5mila, -25%) che durante il 2017 avevano fatto registrare aumenti record. Il Marocco è l’unico Paese africano che segna una variazione positiva rispetto all’anno precedente (17mila, +9%). Le immigrazioni di cittadini italiani, invece, ammontano a 47mila nel 2018 (14% del totale iscritti dall’estero). Si tratta di flussi provenienti in larga parte da Paesi che sono stati in passato mete di emigrazione italiana.

Registrato nel rapporto Istat anche il volume complessivo della mobilità interna, pari a un milione 358mila trasferimenti, leggermente in aumento rispetto al 2017 (+1,8%). In valore assoluto, le Regioni in cui si registra il volume più elevato di iscrizioni e cancellazioni anagrafiche sono la Lombardia (303mila iscrizioni e 280mila cancellazioni), il Veneto (135mila e 128mila) e il Piemonte (125mila e 121mila cancellazioni); in termini relativi, invece, rapportando il numero di iscrizioni e cancellazioni alla popolazione residente, la Regione che mostra una dinamica migratoria interna più vivace è la Valle d’Aosta, seguita da Lombardia e provincia autonoma di Trento. Le Regioni meno dinamiche sono Basilicata, Puglia e Calabria. «In generale – nota l’Istat -, tutte le regioni del Centro-nord mostrano saldi netti positivi o prossimi allo zero; viceversa, le regioni del Mezzogiorno mettono in evidenza perdite nette di popolazione».

La percentuale di uomini sul totale dei migranti interni è pari al 50,5% e anche l’età media alla data del trasferimento è molto vicina, leggermente posticipata per le donne (35 uomini e 36,5 donne). «L’età – è spiegato nell’indagine – è uno dei fattori che più influenza il comportamento migratorio: i trasferimenti di residenza in età lavorativa sono, in generale, più numerosi rispetto a quelli registrati per le altre fasce di età». Nel 2018, quasi la metà di chi si è spostato da un Comune all’altro all’interno del Paese ha un’età compresa tra i 15 e i 40 anni. Una quota significativa di trasferimenti (27%) si osserva anche nella fascia di età tra i 41 e i 64 anni.

La mobilità residenziale coinvolge soprattutto gli italiani: su cinque persone che cambiano residenza quattro hanno cittadinanza italiana. Nel 2018, gli italiani che si sono trasferiti all’interno del territorio sono circa 1 milione 114mila contro 244mila stranieri, questi ultimi in aumento rispetto al 2017 (+5%). Tuttavia, la propensione alla mobilità interna degli stranieri è più del doppio di quella degli italiani: il tasso di mobilità interna è al 4,7% per gli stranieri, al 2% per gli italiani. Sono oltre 117mila i movimenti da Sud e Isole che hanno come destinazione le regioni del Centro e del Nord (+7% rispetto al 2017); di un certo rilievo sono anche i trasferimenti sulla rotta “inversa” (55mila), dal Centro-nord al Mezzogiorno. Con riferimento al titolo di studio, i movimenti degli italiani di 25 anni e più con almeno la laurea che partono dalle regioni del Mezzogiorno e si dirigono verso quelle del Centro-nord (al netto dei rientri) hanno provocato, nel 2018, una perdita di oltre 16mila residenti.

17 dicembre 2019