Un patto in 20 punti per scongiurare il pericolo di un “islam fai da te”, favorire la coesione sociale e l’integrazione nel nostro Paese e lottare contro ogni forma di radicalismo. È stato firmato ieri al Viminale un “Patto nazionale per un islam italiano” tra i rappresentanti delle associazioni e delle comunità islamiche e il ministero dell’Interno.

10 sono i punti che chiamano in causa le comunità islamiche presenti nel nostro Paese. Nel documento i responsabili dei centri islamici e sale di preghiera si impegnano a contrastare «i fenomeni di radicalismo religioso» e a rendere «pubblici nomi e recapiti di imam e guide religiose». Il Patto prevede anche corsi di  formazione per gli imam e l’assicurazione di svolgere il sermone del venerdì in italiano, «ferme restando le forme rituali originarie nella celebrazione del rito». Alle comunità islamiche viene anche chiesta la «massima trasparenza nella gestione e documentazione dei finanziamenti, ricevuti, dall’Italia o dall’estero, da destinare alla costruzione e alla gestione di moschee e luoghi di preghiera».

Nei 10 punti, invece, a carico del ministero dell’Interno, c’è l’impegno a «sostenere e promuovere, in collaborazione con le associazioni islamiche, valorizzando il contributo del patrimonio spirituale, culturale e sociale che le comunità musulmane offrono al Paese, favorendo percorsi di integrazione degli immigrati musulmani e contrastando il radicalismo e il fanatismo religioso». C’è anche il progetto di distribuire «kit informativi di base in varie lingue concernenti regole e principi dell’ordinamento dello Stato unitamente alla normativa in materia di libertà religiosa e di culto».

Nel presentare alla stampa il documento, il ministro dell’interno Minniti ha parlato di «un giorno importante, un passaggio utile per il presente e il futuro del nostro Paese attraverso il dialogo interreligioso. Si possono avere religioni differenti e professare religioni differenti pur essendo tutti italiani», ha sottolineato il ministro, aggiungendo che il pre-requisito perché si realizzi questo obiettivo è quello di «ripudiare qualsiasi forma di violenza e terrorismo».

Paolo Naso è il coordinatore del Consiglio per i rapporti con l’islam italiano che ha aiutato il ministero a stendere il documento. È stato un inter lungo e complesso soprattutto nella parte finale, ma il traguardo è stato raggiunto. «Per la prima volta – dice – in senso assoluto siamo di fronte a una autocertificazione dei musulmani italiani che corrisponde a un impegno delle istituzioni e del ministero dell’Interno. A un patto tra due attori che si impegnano a fare qualcosa. Una novità assoluta, un passo in avanti molto positivo». L’obiettivo dell’iniziativa è quello di «rafforzare politiche di coesione sociale e integrazione per dare una risposta italiana a quel clima di islamofobia e pregiudizio che si va diffondendo in Europa e negli Stati Uniti».

Un processo che sulla base delle norme costituzionali potrebbe portare a un’intesa con l’islam italiano nella convinzione che  se non si intraprende la via della trasparenza e del dialogo, l’altra strada porta all’assenza assoluta di controllo da una parte e di responsabilità dall’altra. «Quello di oggi – conclude Naso – è un investimento sul futuro. Da oggi le comunità islamiche italiane sono attori di un percorso di trasparenza, di dialogo, di coesione sociale e anche di contrasto al radicalismo islamico. Non stiamo quindi soltanto affermando un principio ma stiamo anche dicendo che le comunità islamiche possono essere vettori importanti  di politiche di integrazione e coesione sociale». (M. Chiara Biagioni)

2 febbraio 2017