Iraq, obiettivo ricostruzione. Il “Piano Marshall” di Acs

Il punto sulle iniziative in una conferenza internazionale alla Pontificia Università Lateranense. Dalla fondazione pontificia stanziati finora 35 milioni. Parolin: «Ricostruire la società e ricucire la pace»

Sono 95mila i cristiani fuggiti da Mosul e dalla Piana di Ninive che continuano a vivere in condizione di sfollati interni ad Ebril e nelle zone limitrofe. Con l’attenuarsi del conflitto e la liberazione dei villaggi molti cercano di tornare nelle loro case. Per realizzare questo desiderio le tre Chiese locali, quella caldea, la siro ortodossa e la siro cattolica, si sono unite nel Comitato per la ricostruzione di Ninive sostenuto dalla fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre attraverso l’informazione, le campagne di raccolta fondi e l’opera di sensibilizzazione presso i governi. Il  progetto di ricostruzione è stato presentato da padre Andrzej Halemba, responsabile di Aiuto alla Chiesa che soffre in Medio Oriente, questa mattina, giovedì 28 settembre, nell’aula Pio XI della Pontificia Università Lateranense nel corso della conferenza internazionale “Iraq, ritorno alle radici”. Una conferenza che ha avuto, tra l’altro, lo scopo di divulgare la situazione attuale dei cristiani in Iraq.

In apertura dei lavori sono stati proiettati due video con le immagini di case rase al suolo e chiese saccheggiate e la testimonianza di una bambina che prega tutti i giorni affinché possa tornare a casa con la sua famiglia. Il Comitato per la ricostruzione di Ninive ha dato vita ad una sorta di Piano Marshall per i cristiani in Iraq che prevede non soltanto la riedificazione ma anche la creazione di posti di lavoro attraverso il ripristino dei servizi essenziali. Un progetto che trova l’appoggio anche della Santa Sede, come dichiarato dal segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin, tanto che Papa Francesco ha più volte espresso il desiderio di recarsi in Iraq «dove i cristiani hanno dato una bella testimonianza di fede – ha detto il nunzio apostolico in Iraq e Giordania monsignor Martin Ortega -. Devono esserci tutte le condizioni adatte. Io non perdo la speranza».

piana di niniveSono circa 13mila le abitazioni private, le scuole, gli ospedali, gli edifici di culto saccheggiati, incendiati, distrutti o parzialmente danneggiati dall’Isis. Fino ad oggi Aiuto alla Chiesa che soffre ha stanziato 35 milioni di euro, 11 milione dei quali sono stati utilizzati per far fronte alle prime necessità degli sfollati a Erbil e circa 2 milioni per la ricostruzione delle case e delle chiese. Sono 611 le case ricostruite e 1.244 le proprietà già restaurate. «Oltre alla ricostruzione degli edifici abbiamo l’onere di ricostruire la società irachena, ricucire la pace, che è la vera missione dei cristiani», ha affermato il cardinale Parolin. La presenza dei cristiani in Medio Oriente diminuisce costantemente e c’è «il reale pericolo che essi scompaiano – ha aggiunto il porporato -. Non devono essere una minoranza protetta e benevolmente tollerata ma cittadini i cui diritti devono essere garantiti e difesi».

Prima dell’invasione di Mosul da parte dell’Isis, nell’agosto 2014 i cristiani iracheni erano un milione e mezzo. Oggi sono 500mila, ha detto il patriarca caldeo Louis Sako: «Sono stati quasi cancellati, si tratta di un vero genocidio». Una situazione che mette in apprensione la Chiesa universale perché la scomparsa dei cristiani dal Medio Oriente causerebbe «l’indebolimento della storia, della cultura, della società di quelle aree – ha aggiunto il cardinale Mauro Piacenza, presidente internazionale della fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre -. Mentre la vecchia Europa si vergogna quasi delle sue radici cristiane, ci sono luoghi come il Medio Oriente dove essere cristiani può costare la vita. Oltre a portare aiuto dobbiamo imparare dalla loro eroica testimonianza».

Al termine della conferenza, incontrando i giornalisti il presidente di Acs ha aggiunto che «laddove la libertà religiosa è promossa e difesa, possono svilupparsi anche la libertà di pensiero e di espressione». Per monsignor Martin Ortega, «proseguire nella necessaria assistenza umanitaria, dello sviluppo e della promozione della pace, è l’unica via possibile per evitare il dramma dell’immigrazione». Quindi, attenzione puntata anche sui problemi esistenti tra il governo centrale e quello curdo, nei giorni del referendum per l’indipendenza del Kurdistan. «I cristiani hanno paura della divisione del Paese, dell’emigrazione, della guerra», ha commentato il patriarca. Poi, parlando della situazione attuale ha aggiunto: «Al momento non c’è ordine ma i cristiani devono tornare nella Piana di Ninive. Ora sono meno di 80mila. La loro presenza potrebbe contribuire a riallacciare i rapporti anche con i musulmani con i quali abbiamo avuto intensi momenti di preghiera insieme».

28 settembre 2017