“Io capitano”: Garrone e i migranti

In concorso alla recente Mostra di Venezia, la pellicola racconta una vicenda che prende il via nel Senegal dei nostri giorni, mettendo insieme realtà e finzione. L’urlo liberatorio con cui si chiude

Passato in concorso alla recente Mostra di Venezia il 6 settembre, Io capitano di Matteo Garrone è in sala dal giorno successivo. La vicenda prende il via nel Senegal dei nostri giorni. Al centro ci sono Seydou e Mustapha, due cugini sedicenni che hanno da tempo l’intenzione di tentare la fuga verso l’Italia. Tra coloro che si oppongono con decisione c’è la mamma di Seydou, fortemente contraria che i ragazzini lascino la casa di famiglia per un obiettivo pieno di incognite. Non resta loro che prendere una decisione drastica: fuggire senza avvertire nessuno. Così comincia il viaggio di Seydou e Mustapha, viaggio che non ci mette molto a diventare una vera odissea. Tutto quello che i giovani avevano sentito dire e che sembrava una invenzione si rivela drammaticamente vero: dal Senegal alla Libia bisogna attraversare il deserto, sopportare privazioni, sacrifici, essere sottoposti a torture e rischi continui della vita. Inoltre, individui non meglio identificati arrivano con improvvise richieste di denaro alle quali è sempre più difficile rispondere.

Si trattava insomma di mettere insieme realtà e finzione, fare in modo che la storia vissuta diventasse verità proprio nel momento in cui se ne propone il racconto. Da qui nascono le modalità scelte da Garrone per rendere credibile lo svolgimento. In rigorosa linea, bisogna dirlo, con i precedenti titoli del regista romano. Nato nella Capitale nel 1968, Garrone esordisce con film che da subito rimandano ad una bruciante commistione tra realismo e mito (Terra di mezzo, 1996; Ospiti, 1998; Estate romana, 2000). Con Gomorra (2008) e Reality (2012), la realtà scolora nella finzione, fino a chiudersi nella tragica visionarietà di Dogman (2018) e in Pinocchio (2019), favola nera, sofferta e dolce. C’era dunque molto di Io capitano nei precedenti film di Garrone.

Il merito forte, alla base anche del Leone d’Argento veneziano, è quello di affrontare in modo inedito il tema dell’immigrazione. Dopo la prima parte che mette in campo i dubbi dei due ragazzi, il racconto precipita nel dramma della realtà quotidiana del profugo. Cronaca vuol dire privazione e dolori, ma anche improvvisa assunzione di responsabilità. Seydou assume controvoglia il comando dell’imbarcazione e lo lascia solo quando, arrivato sulla terraferma, può gridare: «Io sono il capitano e ho portato tutti in salvo». Un urlo liberatorio, come un misto di gioia e incredulità, risultato finale di quella che viene vissuta come una grande avventura giovanile. Così Garrone chiude con uno slancio di entusiasmo tra ingenuità e improvvisa leggerezza una vicenda dai risvolti terribili e umilianti. La forza di questo finale grido di ribellione è tra i motivi che hanno indotto la Giuria Signis (i cattolici per la comunicazione) ad attribuire al film il gran premio alla 80ª Mostra di Venezia. Il film ha infine ricevuto una nomination agli Oscar 2024 nella categoria miglior film internazionale.

25 settembre 2023