«Informazione, dare spazio alla speranza»
Il saluto di Reina al convegno sul futuro del giornalismo con Girardo, Ingrao, La Manna, Piccolillo, Serdoz e Zavattaro promosso da Diocesi, Ucsi, Ordine dei Giornalisti e Lumsa per i 50 anni di Roma Sette
Tra momenti amarcord – per la nostalgia di un giornalismo che non c’è più – e le speranze per la missione di un “mestiere” che ha ancora tanto da offrire al mondo. Anche di fronte alle fake news, allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, al linguaggio d’odio che inquina i social network, alla crisi dell’editoria, alla chiusura delle edicole “sotto casa” e al profumo della carta stampata che sembra solo un dolce, ma lontano ricordo. Si è respirata aria di passato, presente, ma soprattutto di futuro, durante il convegno e corso di formazione “Giornalismo e speranza. Le speranze del giornalismo”, organizzato per celebrare il cinquantesimo di fondazione di Roma Sette, il settimanale della diocesi di Roma, dorso domenicale di Avvenire.
L’incontro, che si è tenuto stamattina, 20 novembre, presso l’Università Lumsa, ha richiamato il tema del Giubileo che sta per iniziare: “Pellegrini di speranza”. La moderazione è stata affidata al vaticanista del Tg1 Rai Ignazio Ingrao. L’arcivescovo Baldo Reina, vicario del Papa per la diocesi di Roma, ha indicato le coordinate da seguire. Sulla scia di papa Francesco, il presule ha invitato a «insistere molto sulla verità e sulla trasparenza» e a «dare spazio alla speranza». Per questo motivo, ha detto, «mi verrebbe quasi da capovolgere il sottotitolo del convegno in: “Il giornalismo della speranza”». Solo in questo modo, ha aggiunto, «saremo capaci di alzare la testa e pensare che davvero possiamo farcela, come persone, come cristiani e come comunità ecclesiale». Poi ha concluso: «C’è bisogno di un po’ di coraggio, ma voi giornalisti ne avete tanto».
In tale direzione l’intervento del direttore di Avvenire Marco Girardo, che ha sottolineato in questo senso l’importanza di Roma Sette e di tutti i settimanali diocesani. «Sono strumenti – ha detto – che permettono di attivare una comunicazione biunivoca con i lettori e quindi di coltivare un dialogo». È questa, per Girardo, la strada da seguire per salvare il giornalismo, che ha bisogno di recuperare un «rapporto di fiducia» con i propri interlocutori, «non facendo marketing, ma informazione».
Il direttore di Avvenire ha parlato di tre strade da percorrere. La prima, ha spiegato, «è la parola precisione, ovvero l’attenzione nel dare le notizie». La seconda, «la gentilezza come sinonimo di cura, rifiutando di accettare il meccanismo secondo cui per imporre un’idea sia necessario essere aggressivi». Infine, ha esortato a «una visione panoramica», per portare in risalto notizie da ogni parte del mondo. «Se riusciremo a fare tutto questo – ha concluso – avremmo salvato il giornalismo e portato la speranza».
In apertura del convegno, oltre al saluto del rettore della Lumsa Francesco Bonini, anche le parole di padre Giulio Albanese, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Roma, che insieme all’Ordine dei giornalisti del Lazio, all’università ospitante, a Ucsi Lazio e Roma Sette, ha promosso l’incontro. «Dobbiamo comprendere – ha detto Albanese – che l’informazione è la prima forma di solidarietà. Anche il giornalismo ha bisogno di redenzione e di varcare la Porta Santa». Perché, ha sottolineato con un gioco di parole Maurizio Di Schino, giornalista e presidente dell’Ucsi Lazio, richiamando il titolo del convegno, «il giornalismo è speranza». Ma soprattutto, ha aggiunto il presidente dell’Ordine dei giornalisti del Lazio Guido D’Ubaldo, «non è morto e può continuare a vivere».
In questo scenario, Vincenzo La Manna, vicedirettore di Askanews, ha invitato a «contrastare il virus delle fake news con il vaccino della corretta informazione». Facendo eco alle parole di Girardo, Roberta Serdoz, vicedirettrice del TgR Rai, ha evidenziato invece l’importanza del giornalismo territoriale, «il vicino della porta accanto che sa ascoltare» e ha invitato, parlando dei social, a non demonizzarli, ma «a disarmare le parole» e a considerare Tik Tok come il futuro, perché «è lì che i giovani attualmente si informano».
Anche Virginia Piccolillo, giornalista del Corriere della Sera, ha posto l’accento sull’utilizzo dei social. «Bisogna fare attenzione – ha sottolineato -. Perché stanno cambiando la realtà, anche manipolando le elezioni politiche». Come insegnare tutto ciò alle nuove generazioni? Citando Tolstoj, Fabio Zavattaro, giornalista, nonché direttore del Master in giornalismo della Lumsa, ha usato l’immagine della lanterna nelle mani del viandante, che permette di scegliere se andare da una parte o dall’altra. «Avere in mano questa lanterna è la nostra sfida – ha concluso Zavattaro -: raccontare ciò che vediamo e avere la forza di trasmetterlo agli altri».
Una luce è arrivata dalla testimonianza di don Davide Imeneo, direttore dell’Avvenire di Calabria, che ha raccontato l’esperienza di Aula G, un laboratorio dedicato a giornalismo e intelligenza artificiale, promosso dal suo settimanale per ragazzi e ragazze delle medie. La speranza passa anche da qui. Ne è convinto Angelo Zema, responsabile di Roma Sette, che proprio sui canali social della diocesi di Roma ha descritto il convegno come una «nuova spinta ad occuparci sempre più delle periferie esistenziali e dei temi della città».
20 novembre 2024