Infanzia in guerra: oltre 93mila piccoli uccisi o feriti nei conflitti negli ultimi 10 anni

La denuncia di Save the Children, nella Giornata mondiale dell’infanzia. 3 milioni di bambini arrivati a 18 anni senza aver mai vissuto in pace

93.236 bambini uccisi o feriti nei conflitti negli ultimi 10 anni: una media di 25 al giorno. L’equivalente di un’aula piena di alunni. Vittime di attacchi aerei, bombardamenti, mine antiuomo e altre armi esplosive usate in aree popolate dove le famiglie sono state fatte a pezzi e decine di migliaia di bambini sono stati uccisi o hanno riportato cicatrici indelebili per il resto della loro vita. È l’infanzia in guerra raccontata da Save the Children, nella Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che si celebra oggi, 20 novembre. Nel rapporto rapporto “Killed and Maimed: A Generation Of Violations Against Children In Conflict” l’organizzazione riferisce di 426 milioni di bambini che vivono in un’area colpita dal conflitto, in leggero aumento rispetto all’anno precedente; circa 160 milioni i piccoli che vivono in una zona ad alta intensità di conflitto – anche questo dato in aumento rispetto all’anno precedente -. Siria, Somalia, Afghanistan, Yemen, Nigeria, RDC, Mali, Repubblica centrafricana, Iraq, Sud Sudan e Sudan sono i Paesi più pericolosi per i bambini in conflitto; più di 3 milioni sono arrivati a 18 anni senza aver mai vissuto in pace. In crescita anche il numero dei minori reclutati dalle forze armate: dai 639 nel 2018 ai 7.845 nel 2019. Sono stati trovati oltre 3.100 bambini reclutati nella sola Repubblica Democratica del Congo; più di 4.400 volte alle organizzazioni umanitarie è stato negato l’accesso ai bambini, sei volte più spesso rispetto al 2018.

Il rapporto lanciato oggi da Save the Children, il quarto della serie “Stop the war on children”, punta i riflettori sulle sei gravi violazioni commesse contro i bambini nelle zone di conflitto: oltre 200mila nell’ultimo decennio. Il record, riferiscono, è stato tristemente battuto nel 2019, durante il quale sono state commesse 26.233 gravi violazioni, anche se «è probabile che il numero effettivo sia ancora più alto poiché alcune, in particolare l’abuso sessuale, sono gravemente sottostimate». Dietro a questi numeri «ci sono innumerevoli storie di bambini vittime della guerra – dichiara Inger Ashing, direttore generale di Save the Children  -. Molti sono vittime di persone che ignorano palesemente le leggi e gli standard internazionali e i governi chiudono un occhio. Eppure – prosegue – diversi Paesi hanno preso la decisione consapevole di continuare a vendere armi alle parti in guerra anche dove era chiaro che venivano usate contro i bambini. Ciò non può andare avanti. Questo fine settimana i leader dei paesi più ricchi e potenti del mondo si riuniscono a Riyadh, in Arabia Saudita, per il vertice del G20. A poca distanza, milioni di bambini vulnerabili nello Yemen non sanno da dove proverrà il loro prossimo pasto o se sopravvivranno al prossimo attacco aereo o bombardamento. Questa – conclude – è l’opportunità per i leader mondiali di usare la loro influenza e la loro voce per fare la scelta giusta e fermare la guerra ai bambini».

Guerra che non si ferma neanche durante la pandemia di Covid-19, nella quale il “nemico” dovrebbe essere solo il virus. Le Nazioni Unite hanno chiesto un cessate il fuoco globale a luglio, approvato da 170 Paesi, riferiscono da Save the Children, ma da allora 177 minori sono stati uccisi e mutilati nello Yemen, dozzine sono stati uccisi o gravemente feriti in Afghanistan, la violenza nella Repubblica Democratica del Congo è aumentata e in Myanmar i bambini sono spesso vittime. All’inizio di quest’anno, la coalizione guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti è stata tolta dalla “lista della vergogna” delle Nazioni Unite, che elenca gli autori di gravi violazioni contro i minori, anche se i bambini nello Yemen sono ancora bombardati quasi ogni giorno. «Mai nella storia umana siamo stati più consapevoli delle violazioni dei diritti dei minori, gli attentati vengono verificati, il reclutamento è documentato e vediamo bambini morire di fame in tv mentre vengono negati gli aiuti. Abbiamo i mezzi per impedire che i bambini vengano danneggiati ma continuiamo a vedere violazioni incredibili, anno dopo anno. È come se il mondo avesse smesso di preoccuparsene», spiega ancora Inge Ashing.

Di qui la richiesta «urgente» dell’organizzazione agli Stati di «evitare l’uso delle armi esplosive in aree densamente popolate, impedire la vendita delle armi nel caso in cui possano essere utilizzate per commettere o facilitare gravi violazioni e perseguire coloro che non rispettano le leggi e gli standard internazionali». Save the Children chiede inoltre agli Stati di sostenere la dichiarazione politica a guida irlandese volta a frenare l’uso di armi esplosive nelle aree popolate. Inoltre, esorta i governi a garantire che la protezione dei bambini sia completamente finanziata nelle risposte umanitarie, compreso il sostegno alla salute mentale per i bambini e le loro famiglie. In particolare in Italia Save the Children si è attivata, insieme a molte altre organizzazioni della società civile, per evidenziare le conseguenze disastrose che il commercio di armamenti sta avendo sui minori. Basti pensare che dal marzo 2015, data di inizio del conflitto in Yemen, i Paesi del G20 hanno esportato armamenti per 17 miliardi di dollari verso l’Arabia Saudita, coinvolta nel conflitto in corso. Una cifra tre volte superiore agli aiuti umanitari stanziati dalle stesse nazioni del G20 per alleviare le sofferenze dei bambini e delle loro famiglie.

In occasione del lancio del rapporto, Save the Children rilancia la serie di podcast “Children of War”, che racconta le guerre più tristemente famose della storia attraverso gli occhi dei bambini che le vivono o le hanno vissute. «Germania, Nigeria, Rwanda, Siria, Yemen. Un filo rosso collega i conflitti passati con quelli ancora in corso: le terribili sofferenze dei bambini coinvolti. Mutilati, rapiti, abusati o costretti ad abbandonare le proprie case, chiedono a gran voce – ieri come oggi – un futuro migliore», affermano dall’organizzazione. La serie ha raggiunto già quasi 1,5 milioni di persone che hanno conosciuto le cinque storie di sopravvissuti ad alcuni dei più noti conflitti della storia, raccontati anche attraverso le voci di due giornalisti Rai Maria Concetta Mattei e Giorgio Zanchini.

20 novembre 2020