Indi Gregory è cittadina italiana

Il Cdm ha conferito la cittadinanza alla neonata inglese gravemente malata, per consentirne il ricovero al Bambino Gesù. L’Alta Corte di Londra aveva deciso lo stop alle cure

Convocato d’urgenza ieri mattina, 6 novembre, il Consiglio dei ministri ha conferito la cittadinanza italiana a Indi Gregory, la neonata inglese di 8 mesi gravemente malata per una patologia mitocondriale allo stato incurabile, consentendone, di fatto, il ricovero al Bambino Gesù di Roma, come richiesto dalla famiglia. Nei giorni scorsi infatti l’Alta corte di Londra aveva negato questa opzione, che per la piccola significa la possibilità di essere mantenuta in vita tramite il supporto delle macchine. Senza la decisione dell’Italia, alle 15 di eri le sarebbe stata staccata la spina.

La piccola, nata a febbraio, è colpita da una rarissima malattia genetica degenerativa che blocca il normale sviluppo di tutti i muscoli. Per questo è stata ricoverata immediatamente nell’unità di Terapia intensiva pediatrica dell’ospedale di Nottingham Queen’s Medical Center. Secondo il sistema sanitario britannico, la gravità della malattia segna una condizione incurabile, per tanto il giudice Robert Peel dell’Alta Cote di Londra aveva precedentemente autorizzato i medici a sospendere il supporto vitale per la bambina, sulla base di prove mediche definite «unanimi e chiare». Secondo i medici, insomma, Indi sta morendo e le cure sono inutili e le causano solo sofferenza, senza darle alcuna speranza. Negato anche il trasferimento al Bambino Gesù: «Non c’è nulla che suggerisca che la prognosi di Indi Gregory sarebbe modificata in modo positivo dal trattamento dell’ospedale italiano», le parole del giudice Peel, che aveva emesso un ordine per assicurarle la ventilazione artificiale che l’aiuta a respirare fino alle 14 di ieri, 6 novembre. Le 15 in Italia.

Per questo il Consiglio dei ministri si è riunito in seduta urgente alle 14.15, prendendo in pochi minuti la decisione che ha fatto di Indi Gregory una cittadina italiana, per consentirne il trasferimento all’ospedale pediatrico della Santa Sede, scongiurando così lo stop dei macchinari che la tendono in vita. Una scelta motivata in base all’articolo 9 comma 2 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, «in considerazione dell’eccezionale interesse per la comunità nazionale ad assicurare al minore ulteriori sviluppi terapeutici».

Una storia, quella di Indi, che ricorda quella di altri bambini come Charlie Gard, Alfie Evans o Archie Battersbee, per i quali la giustizia britannica ha disposto la sospensione dei trattamenti vitali attraverso sentenze pronunciate perseguendo «il massimo interesse per il minore», in quanto il distacco dalle macchine è «finalizzato a risparmiare dolori e sofferenze inutili al malato».  L’ennesima battaglia legale sull’inflessibile interpretazione del “fine vita” nel Regno Unito. I genitori della neonata avevano lanciato un appello, sostenuto da diverse realtà “pro life”, per scongiurare lo stop ai trattamenti e trasferire la bambina a Roma, dato che la legge italiana impedisce ogni forma di eutanasia.

«Il mio cuore si riempie di gioia perché gli italiani hanno dato a me e mia moglie Claire speranza e fiducia nell’umanità – ha detto il padre di Indi, Dean Gregory, commentando la decisione dell’Italia -. Gli italiani hanno dimostrato attenzione alle cure in modo amorevole e sostegno. Vorrei solo che nel Regno Unito fosse lo stesso». A rappresentare legalmente la famiglia, l’ex senatore Simone Pillon, che a nome dei genitori di Indi ha rivolto «un grandissimo grazie al governo italiano, alla presidente Giorgia Meloni a tutti i ministri e all’intero popolo italiano. Ora al lavoro per rimuovere i residui ostacoli e portarla presto a Roma». Da parte sua, la premier ha assicurato sui social: «Fino alla fine farò quello che posso per difendere la sua vita. E per difendere il diritto della sua mamma e del suo papà a fare tutto quello che possono per lei».

7 novembre 2023